Il 22 Settembre scorso la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha diramato lo schema del Disegno di Legge denominato “Terra mia”, una proposta normativa avanzata di concerto dai Ministeri Ambiente e Giustizia ispirata allo scopo di rafforzare, in ottica maggiormente repressiva, la vigente legislazione penale in materia di illeciti ambientali.
Con il dichiarato intento di rafforzare la potestà punitiva dello Stato contro i fenomeni di criminalità in materia ambientale, la riforma – che per ora giace sul tavolo del Consiglio dei Ministri, in attesa del placet necessario per poter avviare l’iter di approvazione parlamentare – agisce su diversi testi normativi: tra questi, il Codice Penale, la normativa speciale di settore contenuta nel Testo Unico Ambientale (D. Lgs. n. 152/06) ed il D. Lgs. n. 231/01 in tema di responsabilità amministrativa degli enti.
Con riferimento all’impianto codicistico – oltre a più circoscritti interventi volti ad estendere l’ambito di operatività dell’istituto della confisca c.d. “allargata” (ex art. 240-bis c.p.) e delle pene accessorie dell’interdizione temporanea dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese (ex art. 32-bis c.p.) e dell’incapacità di contrarre con la Pubblica Amministrazione (ex art. 32-quater c.p.) – le modifiche più significative apportate dal novum attengono al Titolo VI-bis, dedicato ai “Delitti contro l’Ambiente”.
Il Disegno modifica innanzitutto il trattamento sanzionatorio del delitto di inquinamento ambientale, previsto e punito all’art. 452-bis c.p., agendo in una duplice direzione: da un lato, mediante la trasformazione da aggravante comune ad aggravante ad effetto speciale della circostanza prevista al comma 2 di commissione del fatto all’interno di “un’area naturale protetta o sottoposta a vincolo paesaggistico , ambientale, storico, artistico, architettonico o archeologico” ovvero “in danno di specie animali o naturali protette”, con conseguente aggravamento del trattamento sanzionatorio da un terzo alla metà della pena base; dall’altro, attraverso l’aggiunta, al nuovo comma 3, di un’ulteriore aggravante, sempre ad effetto speciale, per l’ipotesi di “deterioramento, compromissione o distruzione di un habitat all’interno di un sito protetto”.
Il vero fulcro della novella, a giudizio di chi scrive, attiene però al delitto di disastro ambientale, previsto e punito all’art. 452-quater c.p.
Oltre alla modifica dell’aggravante previsto al comma 3 negli stessi termini appena esposti per il 452-bis c.p., particolare attenzione merita la rinnovata formulazione che la disposizione di cui all’art. 452-quater c.p. verrebbe ad assumere con la modifica operata dal Disegno di Legge, che all’art. 24 così dispone: “All’articolo 452-quater del codice penale sono apportate le seguenti modificazioni: a) al primo comma, primo periodo, le parole “Fuori dai casi previsti dall’articolo 434,” sono soppresse (…)”. La riforma, in altre parole, si propone di eliminare dal testo della disposizione incriminatrice, così come introdotta dalla riforma sugli ecoreati (L. n. 68/2015), la clausola di riserva con cui si apre il delitto di disastro ambientale ed in virtù della quale il fatto incriminato deve avvenire “fuori dai casi previsti dall’art. 434 c.p.”.
Il quesito da porsi, qualora la riforma venisse approvata, è capire quali effetti produrrebbe l’eliminazione della clausola con riferimento ai processi già pendenti al momento della (eventuale ed ipotetica) entrata in vigore della riforma di cui il provvedimento in commento è precursore.
L’interrogativo ha ragione di esistere unicamente in rapporto a condotte che presentino un duplice requisito:
a) siano iniziate nella vigenza della disciplina attuale e siano proseguite, senza esaurirsi, anche successivamente all’eventuale entrata in vigore della riforma in commento;
b) siano astrattamente sussumibili in entrambe le fattispecie di reato, con la conseguenza che la risposta sarà necessariamente influenzata dalla posizione che si predilige in ordine ai rapporti strutturali intercorrenti tra le due figure di disastro, innominato ex art. 434, nell’ipotesi di disastro effettivamente verificatosi prevista dal comma 2, e nominato ex art. 452-quater c.p., come declinato ai numeri 1, 2, 3.
La precisazione di cui al primo punto si giustifica in virtù del fatto che nulla questio si pone in riferimento ai disastri originati da condotte che dovessero iniziare ed esaurirsi prima della immaginata entrata in vigore della novella – e quindi della scomparsa della clausola in apertura dell’art. 452-quater c.p. –. In tal caso, infatti, anche laddove gli effetti lesivi dovessero prolungarsi dopo la modifica normativa, continuerebbe ad applicarsi la normativa in vigore al momento della cessazione della condotta – momento consumativo dei reati istantanei ad effetto permanente, adesivamente alla giurisprudenza Eternit, secondo cui “la consumazione cessa con il cessare della condotta e non con il venir meno degli effetti disastrosi o con la mancata rimozione degli stessi” (Trib. Torino, Sentenza 13 febbraio 2012, Scmidheiny) – con conseguente prevalenza applicativa dell’art. 434 c.p., giusto appunto quanto previsto dalla clausola.
Analogamente, nessun problema si porrebbe con riferimento a condotte che dovessero iniziare integralmente dopo l’ipotetica entrata in vigore della riforma: il principio del tempus regit actum imporrebbe infatti l’applicazione pacifica della nuova disciplina, che in assenza della clausola di sussidiarietà, porterebbe alla contestazione ex art. 452-quater c.p.
Il nodo critico della questione è, invece, il secondo.
Rimandando ad altra sede per una disamina più approfondita del tema, sempre in presenza di disastri originati da condotte poste in essere a cavallo della riforma, la risposta all’interrogativo sarà inevitabilmente condizionata dalla tesi che si predilige in ordine ai rapporti tra le due fattispecie incriminatrici del disastro, con due diversi sbocchi.
Qualora si escludesse in radice la possibilità di interferenze tra la fattispecie innominata e quella nominata di disastro, si potrebbe paventare la possibilità di un concorso di reati, con conseguente applicazione dell’art. 434, comma 2, limitatamente alla parte di condotta posta in essere prima dell’entrata in vigore della riforma (data la presenza nella disciplina attuale della clausola di sussidiarietà) e dell’art. 452-quater c.p. per quella porzione di condotta posta in essere dopo la modifica normativa (che eliminerebbe la clausola di sussidiarietà).
Ragionare in questi termini, tuttavia, significherebbe escludere la sussistenza di un rapporto di specialità tra le due fattispecie, ammettendo quindi di essere in presenza di uno di quei casi in cui è “diversamente stabilito” previsti dal citato articolo 15.
Diversamente, qualora si ritenga che tra le disposizioni degli articoli 434, comma 2, e 452-quater c.p. siano ipotizzabili punti di contatto e quindi le norme avvinte da un rapporto di specialità, la questione sarà risolta facendo appello ai principi in materia di concorso apparente di norme, secondo quanto previsto dall’art. 15 del codice penale, con conseguente applicazione di una ed una sola fattispecie di reato.
In tal caso, a giudizio di chi scrive, non può escludersi a priori l’eventualità l’intera condotta, anche qualora questa dovesse iniziare nel vigore dell’attuale disciplina che dà prevalenza applicativa alla fattispecie meno grave di disastro innominato, verrà punita ricorrendo alla più grave fattispecie di cui all’art. 452-quater c.p. Difatti, pur prevedendo quest’ultima una cornice edittale e un termine di prescrizione più sfavorevole rispetto alla contestazione dell’art. 434 c.p., qualora la condotta causativa del disastro si protraesse anche dopo l’entrata in vigore del trattamento peggiorativo dettato dalla soppressione della clausola di sussidiarietà, verrebbe meno l’esigenza di prevedibilità sottesa al divieto di applicazione retroattiva delle modifiche in pejus.
Enrico Napoletano
Elena Massignani