Caso Palamara: un ulteriore grimaldello per l’utilizzo del c.d. Trojan

È nota alle cronache giudiziarie degli ultimi tempi l’ordinanza, depositata il 21 settembre 2020 inerente il discusso “caso Palamara”, con cui il Giudice per le Indagini Preliminari di Perugia si è pronunciato, ai sensi dell’art. 268, co. VI e VII c.p.p., sulle richieste di acquisizione delle conversazioni oggetto di intercettazione avanzate dal pubblico ministero e dalle difese degli indagati.

In particolare lo stesso ha ritenuto legittime, e pertanto utilizzabili nel prosieguo del procedimento, le operazioni di intercettazione poste in essere dagli inquirenti, in quanto rispettose del dictum di cui all’art. 68, co. III, Cost. in tema di tutela delle funzioni e del mandato dei parlamentari.

Il punctum dolens della decisione atteneva il discrimen tra c.d. intercettazioni indirette (equiparate, ai fini di disciplina, alle intercettazioni dirette) e intercettazioni casuali, regolate, come noto, dagli artt. 4 e 6 L. 140/2003.

Le intercettazioni indirette, ex art. 4 L. 140/2003, coincidono con un’attività di captazione che interessa utenze intestate a soggetti diversi dal parlamentare, ma che possono ritenersi suoi interlocutori abituali, o che concernono luoghi che possono presumersi dallo stesso frequentati, e richiedono una autorizzazione preventiva da parte della Camera di appartenenza del parlamentare

Le intercettazioni c.d. casuali, ex art. 6 L. 140/2003, necessitano di una autorizzazione successiva della Camera di appartenenza solo ove le si intenda utilizzare nei confronti del parlamentare e sono invece utilizzabili senza alcuna autorizzazione nei confronti di persone diverse.

Orbene, nel caso di specie mancava l’autorizzazione della Camera di appartenenza e, pertanto, la qualifica delle intercettazioni operate in un senso o nell’altro era dirimente ai fini della utilizzabilità probatoria delle medesime. 

La questione, in particolare, ruotava attorno alla valutazione del requisito della occasionalità e della imprevedibilità della interlocuzione del parlamentare con l’indagato, poiché esso risulta conditio sine qua non ai fini del riconoscimento della casualità delle intercettazioni, con tutte le citate conseguenze derivanti ai fini di disciplina.

Il G.i.p., dopo aver richiamato i criteri enucleati dalla Corte Costituzionale nelle sent. n. 113 e 114 del 2010, ha ritenuto di escludere la “finalizzazione indiretta dell’attività di intercettazione”, ritenendo le stesse casuali ed utilizzabili, pertanto, nei confronti di un soggetto estraneo all’attività parlamentare come l’indagato Luca Palamara. 

Viene interpretato, pertanto, in maniera restrittiva il requisito della abitualità nei rapporti con i parlamentari, anche considerato il fatto che gli stessi rimanevano estranei alle ipotesi di reato formulate dalla pubblica accusa, requisito che, secondo la giurisprudenza costituzionale, contribuisce ai fini della valutazione circa la natura casuale delle intercettazioni.

Due sono i profili di criticità che il provvedimento presenta: 

  • il primo riguarda la conferma che tra i soggetti vi fosse comunque una «consuetudine di rapporti» tra uno degli indagati e uno dei parlamentari, elemento rilevante ai fini della valutazione circa l’abitualità del rapporto; 
  • il secondo riguarda la durata delle operazioni captative (evidentemente dovuta alla rilevanza e delicatezza del procedimento) circostanza che, alla luce della sentenza n. 113 del 2010, la quale affermava che nel caso in cui si tratti di un’attività di captazione articolata e prolungata nel tempo «la verifica della occasionalità delle intercettazioni deve farsi, di necessità, più stringente», sembra dirimente ai fini del mancato riconoscimento della casualità delle operazioni.

Un’interpretazione così restrittiva rende indubbiamente più gravoso il diritto di difesa dell’indagato, non potendo egli dolersi dell’eccezione di inutilizzabilità delle intercettazioni operate utilizzando uno strumento particolarmente invasivo come il c.d. captatore informatico (o trojan).

Utilizzazione nella specie possibile a seguito della L. 9 gennaio 2019, n. 3 (c.d. “Spazzacorrotti”) che, come noto, ha esteso l’utilizzabilità del predetto strumento anche ai più gravi reati contro la P.A. commessi dai pubblici ufficiali, ha preso avvio l’esecuzione delle operazioni di intercettazione di conversazione tra presenti, mediante captatore informatico inoculato nel dispositivo in uso dell’indagato.

L’invasività di tale strumento veniva peraltro riconosciuta dallo stesso provvedimento in commento, nella parte in cui si affermava che «l’attività di intercettazione di conversazione tra presenti mediante captatore informatico è caratterizzata da aspetti peculiari rispetto ai tradizionali mezzi di intercettazione, tanto per il suo carattere potenzialmente “itinerante”, quanto per le specifiche e non uniformi modalità di funzionamento dei relativi software».

Dunque, considerato che il suddetto strumento soggiace agli stessi limiti propri delle c.d. intercettazioni comuni in tema di utilizzabilità delle conversazioni tra un terzo e un parlamentare, la suddetta interpretazione estensiva in merito al requisito della occasionalità, legittimante la natura casuale delle intercettazioni e quindi la piena utilizzabilità delle stesse senza alcun limite, è un ulteriore punto di forza per le procure ai fini dell’utilizzabilità del c.d. trojan.

Ma un altro dato pare opportuno rilevare in tale sede. 

Il regime delle intercettazioni, come noto, ricollegandosi ad un istituto di carattere processuale, soggiace al regime del c.d. tempus regit actum, desumibile dall’art. 11 preleggi, per il quale si applica la legge vigente nel momento in cui l’atto è compiuto, pertanto anche a fatti di reato commessi antecedentemente l’entrata in vigore della stessa.

Esemplificativamente, all’indagato Palamara veniva applicato il captatore informatico in virtù di una legge (la Spazzacorrotti) entrata in vigore in seguito all’inizio dell’asserita attività criminosa dal medesimo commessa. I rischi per le libertà del singolo, derivanti da tale principio, divengono ancora più attuali a seguito dell’entrata in vigore del decreto legge n. 161 del 2019, approvato il 30 dicembre 2019, convertito con legge n. 7 del 2020, con il quale il legislatore ha inteso estendere ulteriormente l’applicabilità del captatore informatico.

Secondo alcuni l’utilizzo di uno strumento così invasivo anche a fatti commessi in precedenza entrerebbe in collisine con i principi affermati dalla recente ed innovativa sentenza n. 32/2020 della Corte Costituzionale la quale, in riferimento ad un istituto di carattere processuale come quello delle misure alternative alla detenzione, ha sancito l’irretroattività di modifiche peggiorative, affermando che la regola del tempus regit actum soffre di un’eccezione «allorchè la normativa sopravvenuta non comporti mere modifiche delle modalità esecutive della pena prevista dalla legge al momento del reato, bensì una trasformazione della natura della pena, e della sua concreta incidenza sulla libertà personale del condannato».

Si sostiene che il regime draconiano di tale modalità captativa compromette la libertà costituzionale di comunicazione, per cui costituisce un istituto c.d. processuale con effetti sostanziali, la cui applicabilità dovrebbe rispettare le garanzie proprie della pena, come quella dell’irretroattività in peius, collegata all’art. 25 co. 2 Cost.

La tesi è suggestiva, ma trova un ostacolo nella natura dell’intercettazione come mezzo di ricerca della prova che in sé non compromette le libere comunicazioni e, comunque, la modalità invasiva di captazione opera per le conversazioni successive alla entrata in vigore della legge n. 3/2019.

In definitiva, il profilo di criticità del provvedimento si incentra sulla interpretazione estensiva della casualità nelle intercettazioni, soluzione che amplia il regime di utilizzazione del c.d. trojan, il quale, per la natura particolarmente invasiva, dovrebbe essere invece applicato secondo criteri di stretta interpretazione, in linea con i valori e le libertà garantite dalla nostra Costituzione.

Luigi Fimiani

Junior Lawyer, Studio Legale Napoletano Ficco & Partners

 

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