Il 15 luglio 2020 è stata presentata dalla Camera una proposta di legge volta ad introdurre, nel codice penale, una nuova fattispecie di reato nell’art. 613-quater, rubricato Isolamento sociale o affettivo.
La stessa, punita con la reclusione da sei mesi a quattro anni nella forma base, è volta a reprimere abusi che si consumano all’interno di gruppi politici o religiosi, di associazioni riconosciute o non riconosciute, di fondazioni o di altri enti, appartenenti alla cosiddetta categoria delle “minoranze costituzionalmente tutelate”.
La novella mira, in sostanza, a proteggere gli affiliati, che per qualsiasi ragione decidano di dissentire rispetto alle prescrizioni imposte dai vertici di gruppi sociali, dal venire isolati, dal vedersi inibiti i contatti con coloro che sono rimasti nel gruppo, dall’eventualità di subire pratiche dirette a recidere ogni contatto con la famiglia o gli amici esterni al gruppo.
L’introduzione di questa fattispecie di reato, pertanto, si prefigge l’obiettivo di proteggere l’individuo dalla violazione del diritto al dissenso, espressione del più generale diritto inviolabile della persona all’interno dei gruppi, protetto dal principio solidaristico di cui all’art. 2 della Costituzione, che, come noto, per come interpretato dalla più recente giurisprudenza costituzionale, è volto a tutelare le formazioni sociali in quanto prodromiche alla crescita e al benessere del singolo.
L’introduzione di tale fattispecie incriminatrice, ancorché palesi quella tendenza purtroppo sempre più accentuata della c.d. elefantiasi del diritto penale, risulta, a parere dello scrivente, ragionevole, considerati anche i rischi derivati dal periodo infausto che stiamo vivendo.
Illuminanti a tal fine sono le considerazioni della deputata Costanzo, firmataria della proposta in questione, per la quale “in un momento di crisi economica e sociale è quasi naturale che il fenomeno sia in crescita, perché si va sempre più in cerca di nuovi punti di riferimento e si finisce avvolti nella rete di soprusi psicologici e fisici, di controllo insano e totalizzante proprio delle sette”.
Tuttavia, sotto il profilo squisitamente tecnico, è possibile rilevare quantomeno tre aspetti problematici della norma in questione:
- il primo, senz’altro il più rilevante, è quello derivante dalla naturale tensione dei reati come quello in oggetto, che richiedono l’accertamento delle conseguenze sulla sfera intima e psicologica di un consociato, con taluni principi fondamentali cardine del nostro ordinamento. Basti ricordare a tal fine la sentenza della Corte Costituzionale n. 96/81 che ha dichiarato incostituzionale il delitto di plagio per deficit di tassatività e determinatezza ex art. 25 co 2 Cost., dal momento che le diverse interpretazioni del vecchio art. 603 c.p. comprovavano – ad avviso della Corte – l’impossibilità di accertare al di là di ogni ragionevole dubbio il fenomeno di dipendenza psicologica tra due soggetti richiesto dalla norma incriminatrice. Orbene, mutatis mutandis, la norma in questione, richiedendo l’accertamento dell’induzione all’isolamento sociale dell’affiliato, potrebbe essere portata all’attenzione della Corte per i medesimi parametri;
- Il secondo attiene al presupposto soggettivo di applicazione di questa fattispecie criminosa, definito molto chiaramente dal primo comma: “chiunque, all’ interno di associazioni riconosciute, fondazioni o altri enti, disponendo di un potere decisionale o di gestione”. Sono, dunque, esclusivamente i titolari di tali poteri i soggetti attivi della condotta sanzionata e pertanto, al dispetto del pronome chiunque utilizzato dal legislatore, risulta evidente come il reato sia proprio e non comune, con tutte le conseguenze in punto di disciplina che ne derivano (elemento soggettivo e concorso di persone su tutte).
- Il terzo concerne la probabile difficoltà che incontreranno gli interpreti nell’accertamento di un duplice legame eziologico previsto dalla norma. Difatti la stessa richiede di valutare in primis, il collegamento causale tra la esclusione o emarginazione sociale dell’affiliato e la sua violazione delle regole, ancorché accettate, o le sue dimissioni; in secundis, occorre verificare il nesso eziologico tra le condotte menzionate e l’interruzione di ogni rapporto sociale o affettivo della vittima con l’insorgenza nella stessa di uno stato ansiogeno, di seri traumi di natura psicologica, nonché di “gravi alterazioni delle sue abitudini di vita”.
In definitiva, la funzione dissuasiva e preventiva di fenomeni abusivi nelle formazioni sociali risulta efficacemente considerata dalla proposta di legge in commento che, a parere dello scrivente, pare colmare una lacuna presente nell’ordinamento. Lacuna che, tuttavia, per essere colmata del tutto, richiede una attenta valutazione delle scelte ermeneutiche da parte degli interpreti a causa degli aspetti problematici indicati in precedenza.
Luigi Fimiani
Junior Lawyer Studio Legale Napoletano Ficco & Partners.