Lo scorso 26 aprile è stato approvato dalla Camera il disegno di legge Atto Camera n. 2681 recante la delega per la riforma dell’ordinamento giudiziario, l’adeguamento dell’ordinamento giudiziario militare, nonché disposizioni in materia ordinamentale, organizzativa, disciplinare, di eleggibilità e ricollocamento in ruolo dei magistrati e del Consiglio Superiore della Magistratura.
Il provvedimento, presentato alla Camera nel settembre 2020, passa ora all’esame del Senato (Atto Senato n. 2595), di seguito l’analisi delle principali novità oggetto dello stesso.
Il documento è composto da sei capi: il I è dedicato alla riforma ordinamentale della magistratura, il II a quella dell’ordinamento giudiziario, il III capo, invece, interviene sul sistema elettorale del Csm, il successivo Capo IV introduce disposizioni relative alla costituzione ed al funzionamento del Csm, mentre, il V si occupa dell’ordinamento militare; il disegno di legge si chiude con le disposizioni finanziarie e finali del Capo VI.
Dal punto di vista della tecnica di normazione utilizzata, il provvedimento segue la logica del doppio binario introducendo sia norme di delegazione che immediatamente precettive.
Come precisato nella Relazione finale della “Commissione per elaborare proposte di interventi per la riforma dell’intervento giudiziario” (c.d. Commissione Luciani) istituita dalla Ministra della Giustizia Marta Cartabia al fine di apportare delle modifiche al testo originariamente presentato, le esigenze poste alla base dell’intervento riformatore sono, da un lato, superare i profili problematici di sistema, organizzazione e funzionamento del Consiglio Superiore della Magistratura; dall’altro, incidere sull’efficienza dell’amministrazione della giustizia e sull’imparzialità dell’esercizio della giurisdizione.
Si interviene, anzitutto, sul sistema delle nomine improntandolo ai principi di pubblicità, merito e trasparenza. Si prevede, a tal proposito, che l’assegnazione degli incarichi direttivi e semidirettivi, sia decisa seguendo l’ordine cronologico delle scoperture degli uffici.
In tal modo, si vuole arginare il fenomeno degli accordi preventivi e delle c.d. “nomine a pacchetto”. Viene previsto, inoltre, un sistema di pubblicità dei dati del procedimento nonché dei curricula degli aspiranti candidati.
Ancora, all’art. 3 del d.d.l., vengono enunciati i principi ed i criteri direttivi da attuare nell’ambito della riforma delle procedure di valutazione di professionalità del magistrato, prevedendo l’istituzione a tale scopo del “fascicolo per la valutazione del magistrato”.
La previsione, che ha suscitato molteplici critiche da parte della magistratura, si sostanzia nella raccolta ai fini statistici degli esiti delle decisioni – per i magistrati giudicanti – e delle richieste di rinvio a giudizio o di applicazione di misure cautelari – per quelli requirenti – con particolare riguardo ad eventuali “gravi anomalie”, rilevando anche in sede di attribuzione degli incarichi direttivi e semidirettivi.
Sempre con riferimento alla riforma ordinamentale della magistratura l’intervento incide, nell’ottica di una semplificazione, sulle modalità di accesso sotto un duplice fronte.
Infatti, accanto alla eliminazione l’obbligo di frequentare la scuola di specializzazione o di aver già conseguito l’abilitazione alla professione di avvocato per essere ammessi a partecipare al concorso per magistrato ordinario, si prevede una riduzione delle materie oggetto della prova orale.
Infine, viene prevista la possibilità di effettuare un solo passaggio tra funzione requirente e giudicante nel settore penale. Nessuna limitazione, invece, nel settore civile né con riferimento al passaggio alla Procura Generale presso la Cassazione.
Tra i punti chiave della riforma merita, inoltre, di essere segnalato quello della separazione delle funzioni politica e giudiziaria.
Il Capo III, invero, introduce una articolata disciplina in relazione alla eleggibilità e al ricollocamento dei magistrati in occasione delle elezioni politiche e amministrative, nonché in caso di assunzione di incarichi di governo nazionale, regionale o locale.
In particolare, viene introdotto l’obbligo di collocarsi in aspettativa prima di assumere l’incarico politico e per tutta la sua durata.
Inoltre, non è possibile essere eletti nella regione in cui è compreso in tutto o in parte l’ufficio giudiziario dove il magistrato presta, ovvero ha prestato, servizio nei tre anni precedenti alla data di accettazione della candidatura.
Quanto, infine, alla disciplina relativa al ricollocamento in ruolo il disegno di legge distingue a seconda che i magistrati siano o meno stati eletti.
Per quanto riguarda i magistrati candidati e non eletti viene previsto che gli stessi – per i tre anni successivi alla data di proclamazione degli eletti – non possano essere ricollocati in ruolo con assegnazione ad ufficio avente competenza sul territorio di una regione compresa nella circoscrizione elettorale in cui sono stati candidati, ovvero dove esercitavano le funzioni al momento della candidatura, né esercitare funzioni di Gip, Gup o Pubblico Ministero e con divieto di assumere incarichi direttivi e semidirettivi.
Con riferimento, invece, alla disciplina del ricollocamento dei magistrati al termine del mandato ( o dell’incarico), viene operata una distinzione a seconda della natura dell’incarico svolto.
A seguito dell’assunzione di incarichi di governo, viene prevista, a seconda dei casi, la definitiva rinuncia all’esercizio delle funzioni giurisdizionali ovvero un periodo cuscinetto di un anno da fuori ruolo.
In alternativa, gli stessi, possono essere ricollocati in ruolo ma destinati ad attività non giurisdizionali né giudicanti, né requirenti.
Nel caso, invece, di incarichi apicali si aggiungono ulteriori tre anni senza che si possano assumere incarichi direttivi o semidirettivi.
La riforma, infine, incide profondamente anche sulla struttura del Consiglio Superiore della Magistratura, prevedendo, inter alia, un nuovo sistema elettorale accompagnato dall’aumento dei componenti da eleggere: da 16 a 20 i componenti togati e da 8 a 10 i componenti laici, per un totale di 30 consiglieri.
Destano perplessità le reazioni immediatamente successive all’approvazione da parte della Camera, in quanto trattasi di provvedimento ancora in itinere.
Infatti, a pochi giorni dall’approvazione alla Camera, l’Assemblea generale dell’Asociazione Nazionale Magistrati ha deliberato un giorno di astensione finalizzata alla comunicazione delle ragioni del dissenso della categoria.
Tuttavia, lo sciopero potrebbe sembrare un tentativo di ingerenza dell’ordine giudiziario nel potere legislativo.
A ben vedere, proprio sulla scorta di tali considerazioni non si è fatta attendere la reazione dell’Avvocatura alla proclamazione della giornata di astensione.
Infatti, le associazioni di categoria hanno espresso immediatamente dubbi sull’utilizzo di tale strumento.
In particolare, lungi dal contestare il legittimo esercizio del diritto di sciopero, come anticipato, si dubita delle ragioni poste alla base dello stesso, soprattutto alla luce della fase in cui il provvedimento si trova.
Infatti, si tratta di un provvedimento ancora in corso di discussione e che, pertanto, potrebbe subire ulteriori modifiche.
In ogni caso, è chiaro che la reale portata dell’intervento riformatore potrà essere colta ed apprezzata esclusivamente nel momento in cui lo stesso acquisirà concreta operatività.
Arianna Presti