“Immuni 2020”: non è il nome dell’ultima commedia di Paolo Genovese, ma quello dell’app italiana di contact tracing scelta dall’esecutivo come misura di contenimento della diffusione del contagio da Sars-Cov-2 nella famosa fase 2 di allentamento del lockdown, al via da maggio.
I rumors circolavano ormai da giorni. Ieri, in tarda serata, è arrivata l’ufficialità. Il Commissario Straordinario per il superamento dell’emergenza epidemiologica, Domenico Arcuri, ha firmato l’ordinanza (l’ O.P.C.M. n. 10/2020) che ha dato il via libera alla stipula del contratto di concessione gratuita e perpetua della licenza d’uso dell’app digitale e dell’appalto del servizio gratuito tra la Presidenza del Consiglio dei Ministri e la Bending Spoons S.p.A., la Società che ha sviluppato l’applicativo in partnership con il Centro Diagnostico Santagostino.
La Bending Spoons e la sua “Immuni” hanno vinto il ballottaggio con altre centinaia di aziende e start-up in corsa per la selezione indetta dal Ministero per l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione, perché – si legge nell’ordinanza – “ritenuta più idonea per la sua capacità di contribuire tempestivamente all’azione di contrasto del virus, per la conformità al modello europeo delineato dal Consorzio PEPP-PT e per le garanzie che offre per il rispetto della privacy”.
A questo punto, l’ultima parola spetterà alla task force guidata da Vittorio Colao, ma vediamo quali sono queste fantomatiche “garanzie” per la protezione dei dati personali.
Siamo ancora in attesa delle specifiche di funzionamento del software, ma qualche indicazione è già a disposizione. Bene, teniamoci forte: se lo scenario non è quello di un romanzo Orwelliano ambientato nell’Europa del nuovo millennio, la distanza non è apocalittica.
Il sistema di contact tracing sarà basato sull’adesione volontaria dei cittadini e prevede che ciascuno sarà libero di scaricare ed attivare l’app sul proprio smartphone, effettuando il download direttamente dall’AppStore delle rispettive case madri, sperando – ammoniscono i piani alti – in uno spirito solidaristico e nell’adesione massiccia al progetto di almeno il 60 per centro degli italiani.
Rispetto all’alternativa della geo-localizzazione di massa, perseguita sfruttando l’aggancio alle celle telefoniche e il GPS satellitare, è stata prescelta la tecnologia Bluetooth, per due motivi: il primo, perché ritenuta più attendibile sotto il profilo spazio-temporale, in quanto in grado di restituire solo i dati sulle interazioni più strette ed avvenute sotto il metro di distanza, quindi di mappare solo i contatti più significativi tra dispositivi mobili; il secondo, perché – almeno per ora – il software non è progettato per monitorare in continuo gli spostamenti degli infetti, ma solo tracciare i loro incontri più ravvicinati.
Le garanzie si fermano qui.
Una volta effettuato il download dell’applicazione e messo in moto il sistema, l’app funzionerà con due sezioni. La prima è una sorta di “diario di bordo”, in cui ogni cittadino dovrà aggiornare giorno per giorno il proprio smartphone sul proprio stato di salute ed annotare l’eventuale comparizione o l’evoluzione dei sintomi tipici del Coronavirus. La seconda, invece, conterrebbe lo storico delle interazioni del proprio smartphone con tutti gli altri soggetti, che a loro volta hanno scaricato l’app, con i quali si è entrati in contatto e dei quali viene memorizzato il codice identificativo IMEI.
Se fino a questo momento si dovrebbe avere solamente un flusso di dati pseudonimizzati, l’anonimato è progettato per scomparire nel momento in cui uno dei soggetti che hanno attivato l’app dovesse risultare positivo al Covid19: in caso di rilevata e comprovata positività a seguito degli accertamenti del caso, infatti, dovrebbe essere consentita la re-identificazione dei contatti anonimizzati, in modo da poter avvertire tutte le persone con cui, in base alle rilevazioni Bluetooth, il soggetto positivo è stato maggiormente a contatto nel periodo di incubazione ed inoltrare loro una segnalazione (sotto forma di alert) di potenziale contagio, con l’invito a sottoporsi ad accertamenti.
Dunque, una bomba ad orologeria progettata per esplodere, che farà leccare i baffi a quanti, con una retorica a dir poco semplicistica e finalizzata a guadagnare punti nell’opinione pubblica, tempo fa inneggiavano alla sospensione di tutte le norme sulla privacy. Forse dimenticando che i dati personali, nel mercato moderno, rappresentato uno dei più grandi valori economici, se non il vero e proprio segreto industriale delle grandi multinazionali.
Probabilmente, quando nel 1949 George Orwell, nel suo romanzo di fantascienza, descriveva la Società dispotica del “1984”, non aveva preconizzato che quelle intuizioni avrebbero potuto essere così attuali.
Come si dice in questi casi, agli hackers l’ardua sentenza.
Elena Massignani