Immuni: gli interrogativi restano, ma il Governo punta allo spot.

Immuni

Fortuna che l’età media dei contagiati dal Covid-19, in questa estate caldissima, si è abbassata. Altrimenti, per il Governo, il flop Immuni sarebbe rimasta l’ennesima tragedia senza colpevole.
Stando a quanto dichiarato nell’intervista rilasciata poco tempo fa al quotidiano La Stampa, per il viceministro della Salute, Pierpaolo Sileri, l’insuccesso conclamato dell’app di tracciamento dei contagi da coronavirus – che ad oggi, secondo le stime ufficiali, è stata scaricata da circa il 14% degli italiani in possesso di uno smartphone – sarebbe da attribuire soprattutto ai giovani, che non l’hanno scaricata abbastanza nonostante abbiano “più dimestichezza con le app” e al grande “pregiudizio” sui possibili rischi per la privacy dei cittadini italiani che ne ha accompagnato l’uscita sul mercato.

Insomma, fallito l’obiettivo, per l’esecutivo è tempo di caccia alle streghe.
Certo è indubbiamente comodo, oggi, cavalcare l’onda delle polemiche sull’incoscienza degli adolescenti per puntare il dito contro “i giovani”. Ma forse, anziché ricostruire l’identikit perfetto del presunto colpevole, sarebbe meglio interrogarsi sui reali motivi che hanno portato, almeno fino ad oggi, al mancato raggiungimento del target prefissato per l’efficacia dell’app. E allora, questioni politiche e tecnologiche a parte, quali sono state le ragioni del flop di immuni?

La chiave, a parere di chi scrive, è nella dilagante disinformazione, tutt’ora persistente, in merito alla portata delle regole pratiche di condotta da seguire da parte di chi riceve il famoso alert per contatto ravvicinato e quindi rischioso con un soggetto risultato positivo all’infezione da Covid-19.
Partiamo da un dato certo: la quarantena obbligatoria a scopo precauzionale nei confronti di chi ha avuto contatti stretti con soggetti confermati positivi al Covid-19 può essere imposta solo dall’Autorità Sanitaria. Ciò detto, in caso di contatto ravvicinato, la app – per usare le parole che appiano sullo schermo al momento della notifica – suggerisce al potenziale contagiato di attenersi ad alcuni “semplici accorgimenti”: isolamento volontario per almeno 14 giorni dal momento del contatto, prendere contatto con il medico curante e poi attendere di essere chiamati dalla Asl territoriale per procedere, eventualmente, al tampone.

Sì, d’accordo. Ma se non lo faccio? Se non do seguito ai “suggerimenti” di Immuni, non resto a casa, poi risulto positivo e contagio qualcuno, sono imputabile di qualche forma di responsabilità? O ancora, se una volta contratta l’infezione, scelgo di non condividere i codici generati dal mio dispositivo? Nessuno, tra le istituzioni pubbliche, è ancora riuscito a dare una risposta a questi interrogativi.

Ma allora per quale motivo, non avendone alcun obbligo giuridico, io dovrei correre il rischio per rispondere ad una sollecitazione morale, o come è stata ancora definita, una moral suasion?
Già in passato avevamo espresso le nostre perplessità sull’effettiva volontarietà dell’adesione all’app: come può dirsi davvero libera e tutelata la volontà del singolo interessato nello scegliere se acconsentire o meno al trattamento senza conoscere le possibili conseguenze della propria condotta? Chi mi assicura che la condivisione delle informazioni, ancorché non giuridico, non venga poi ritenuto un obbligo sociale, idoneo come tale ad integrare quello standard di diligenza o prudenza richiesto in una situazione massimamente emergenziale come quella di una pandemia?
La confusione pratica non è altro che la risultante di una confusione giuridica e di un nodo, quello dell’effettiva portata delle raccomandazioni comportamentali provenienti dal Ministero su cui, nonostante la sensibilità del tema, nella comunicazione ufficiale c’è ancora molta incertezza.

Il risultato è che l’effetto sortito è esattamente l’opposto di quello sperato: la persona che riceve la notifica, che in una situazione emergenziale dovrebbe sentirsi maggiormente protetta dalle istituzioni se volontariamente effettua il download e quindi acconsente al tracciamento, viene lasciata in balia di un vuoto normativo prima ancora che comportamentale e quindi, per timore di possibili sanzioni in caso di successivo contagio, non scarica l’app.

Eppure, fin da prima del lancio dell’app, siamo stati letteralmente bombardati da campagne di sensibilizzazione da parte del Ministero che ci invitavano a fare appello al nostro senso civico e alla solidarietà con il prossimo – per usare un termine biblico che va molto in voga di questi tempi – e scaricare l’app.
Anche la soluzione adottata di recente per superare lo scoraggiamento dei download, specie in vista della riapertura imminente delle scuole ed in previsione di una possibile risalita della curva epidemica nella prossima stagione, non sembra la migliore: un divertentissimo videoclip, presto in onda anche sulle reti nazionali, con tanto di testimonial, in cui Flavio Insinna, promosso a global ambassador del contact tracing, dopo aver provato con la nipote alcune tra app più in voga del momento, come quella del filtro invecchiante, invita tutti gli italiani a scaricare Immuni, l’app che “fa vivere più tranquillo te e chi ti sta vicino”.

Niente da invidiare alle réclame dei più famosi brand. Dal punto di vista comunicativo, invece, l’auspicio è che occasioni come queste vengano sfruttate per dare risposta agli interrogativi di quanti, in modo positivamente critico, da tempo sollecitano l’attenzione sulle possibili sfasature tra la dichiarata volontarietà dell’app e le conseguenze che si profilano all’orizzonte per chi non si attiene alle raccomandazioni.

Dott.ssa Elena Massignani

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