Il 24 marzo 2020, il Consiglio dei Ministri, su proposta del Suo Presidente e del Ministro della Salute, ha approvato un nuovo Decreto-Legge che introduce ulteriori “misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19”.
Per contenere e contrastare i rischi sanitari e il diffondersi del contagio, il Decreto prevede che possono essere adottate, su tutto o su una parte del territorio nazionale, per non più di 30 giorni, reiterabili e modificabili anche più volte fino al termine dello stato di emergenza (fissato al 31 luglio 2020 dalla delibera del C.d.M. del 31/01/2020), una o più tra le seguenti misure:
- la limitazione della circolazione delle persone, il divieto assoluto di allontanarsi dalla propria abitazione per i soggetti in quarantena perché contagiati e la quarantena precauzionale per le persone che hanno avuto contatti stretti con soggetti contagiati;
- la sospensione dell’attività, la limitazione dell’ingresso o la chiusura di strutture e spazi aperti al pubblico;
- la limitazione, la sospensione o il divieto di svolgere attività ludiche, ricreative, sportive e motorie all’aperto o in luoghi aperti al pubblico, riunioni, assembramenti, congressi, manifestazioni, iniziative o eventi di qualsiasi natura;
- la sospensione delle cerimonie civili e religiose e la limitazione o la sospensione di eventi e competizioni sportive, anche se privati, nonché di disciplinare le modalità di svolgimento degli allenamenti sportivi all’interno degli stessi luoghi;
- la possibilità di disporre o di affidare alle competenti autorità statali e regionali la riduzione, la sospensione o la soppressione dei servizi di trasporto di persone e di merci o del trasporto pubblico locale;
- la sospensione o la chiusura dei servizi educativi per l’infanzia, delle scuole di ogni ordine e grado e delle istituzioni di formazione superiore;
- la limitazione o la sospensione delle attività delle amministrazioni pubbliche, fatta salva l’erogazione dei servizi essenziali e di pubblica utilità;
- la limitazione, la sospensione o la chiusura delle attività di somministrazione o consumo sul posto di bevande e alimenti, delle fiere, dei mercati e delle attività e di quelle di vendita al dettaglio, garantendo in ogni caso un’adeguata reperibilità dei generi alimentari e di prima necessità da espletare con modalità idonee ad evitare assembramenti di persone;
- la limitazione o la sospensione di ogni altra attività d’impresa o di attività professionali e di lavoro autonomo;
- la possibilità di applicare la modalità di lavoro agile a ogni rapporto di lavoro subordinato anche in deroga alla disciplina vigente;
- l’obbligo che le attività consentite si svolgano previa assunzione di misure idonee a evitare assembramenti di persone, di garantire il rispetto della distanza di sicurezza interpersonale e, per i servizi di pubblica necessità, laddove non sia possibile rispettare tale distanza interpersonale, previsione di protocolli di sicurezza anti-contagio, con adozione di strumenti di protezione individuale.
Il testo prevede, poi, che, “salvo che il fatto costituisca reato”, il mancato rispetto delle misure di contenimento sia punito con la “sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 400 a 3.000 euro” e non si applicano le sanzioni contravvenzionali previste dall’articolo 650 del codice penale o da ogni altra disposizione di legge attributiva di poteri per ragioni di sanità. La violazione intenzionale del divieto assoluto di allontanarsi dalla propria abitazione o dimora per le persone sottoposte a quarantena perché risultate positive al virus è punita con la pena di cui all’articolo 452, primo comma, n. 2, del codice penale (reclusione da uno a cinque anni).
Ciò significa che il ricorso alla contravvenzione delineata all’art. 650 del codice penale – rubricato “Inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità” – non ha assolto alla funzione preventiva che la sanzione penale è chiamata ad esercitare: di prevenzione generale, in quanto la minaccia della sanzione penale deve distogliere la generalità dei consociati dal commettere reati e, in chiave speciale, in quanto la concreta inflizione della pena deve impedire che il singolo autore del reato torni nuovamente a delinquere.
Significa, anche, che tutte quelle condotte inosservanti dei concittadini che fino al 24 marzo costituivano illecito penale ai sensi del reato contravvenzionale ex art. 650 c.p., dal 25 marzo, invece, con un “colpo di spugna” del Governo, vengono derubricate a meri illeciti amministrativi: dal 25 marzo, quindi, non più penalmente rilevanti.
L’art. 2, comma 2 del codice penale stabilisce, infatti, che “Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato; e se vi è stata condanna, ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali”.
La norma qui richiamata allude al duplice fenomeno dell’abolizione di incriminazioni prima esistenti o della trasformazione in illeciti amministrativi di reati contravvenzionali prima previsti.
In base a questa norma, allora, tutti gli autori delle violazioni del regole comportamentali vigenti fino al 24 marzo che si siano resi responsabili ai sensi di quanto previsto nella contravvenzione penale di cui all’art. 650, a seguito della trasformazione in illecito amministrativo di queste condotte, per effetto del Decreto-Legge 24/03/2020, non solo non possono più essere puniti ma, se hanno subito una denuncia che abbia già portato ad un decreto penale di condanna o a sentenza di condanna, ancorché definitiva, ne cessa l’esecuzione e si estinguono tutti i connessi effetti penali.
Il fondamento della disposizione è evidente: se l’abrogazione/trasformazione di un illecito penale costituisce il risultato di una valutazione di compatibilità tra il comportamento incriminato e l’interesse collettivo, sarebbe contraddittorio e irragionevole continuare a punire l’autore di un fatto ormai tollerato dall’ordinamento giuridico.
Eppure, di logico e lineare nella condotta legislativa emergenziale di questo Governo c’è ben poco; basti pensare che soltanto nella giornata di ieri, le Forze di polizia hanno controllato, in applicazione delle misure di contenimento del contagio, 228.550 persone di cui 9.949 sono state denunciate. Gli esercizi commerciali controllati sono stati 87.558, denunciati 103 esercenti e sospesa l’attività di 25 esercizi. Salgono così – indica il Viminale – a 2.244.868 le persone controllate dall’11 al 23 marzo, di cui 102.316 quelle denunciate per inadempienza ad ordini dell’Autorità, 2.348 per false dichiarazioni a pubblico ufficiale.
Questi richiamati sono numeri allarmanti, che denotano un’evidente irrazionalità tra il numero in aumento delle condotte criminose per violazione dell’art. 650 del codice penale, fino al 24 marzo, e la scelta del Governo di voler depenalizzarle tutte queste violazioni a mero illecito amministrativo dal 25 marzo.
Ancora una volta, siamo in presenza di un cattivo esempio di prassi legislativa in materia penale dove si è persa la compatibilità tra il disvalore penale del comportamento incriminato e l’interesse collettivo alla tutela della salute pubblica, quale fatto ormai sempre più mal tollerato dai consociati, privati delle proprie libertà personali per colpa di pochi irresponsabili.
Enrico Napoletano