Il 2020, uno tra gli anni sicuramente più complessi della storia per via della pandemia da Coronavirus, si è concluso con un’importante novità per quanto riguarda la politica e la normativa italiana in materia ambientale. Infatti, è del 30 dicembre scorso l’ottenimento da parte della Sogin, la società pubblica di gestione del nucleare, del nullaosta da parte del Governo per la pubblicazione della Carta Nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee (CNAPI), che individua sul territorio 67 siti “potenzialmente” adatti a localizzare il deposito dei rifiuti radioattivi italiani.
La carta non indica esattamente il punto in cui bisognerà costruire il deposito, ma delinea tutti i luoghi in cui sono state riscontrate le condizioni tecniche per costruirlo e assegna i voti con una graduatoria. Ne emerge, quindi, una mappa di 12 zone ritenute le migliori, localizzate principalmente in Piemonte e Lazio; altri 12 siti ad alto interesse (Toscana, Puglia e ancora Piemonte); ed una terza fascia in cui sono raggruppate tutte le altre aree idonee ma con meno probabilità di essere scelte.
Il progetto della Carta per l’individuazione di tali aree è iniziato nel lontano 2003, sotto il Governo Berlusconi, che, per le forti pressioni delle associazioni ambientaliste e di gran parte dell’opinione pubblica, accantonò la costruzione del deposito all’epoca individuato nel comune di Scanzano Ionico, nella piana di Metaponto. Il progetto riprese solamente nel 2010, quando, con il d. lgs. 31/2010, all’art. 27, comma 1 vennero finalmente individuate le regole da seguire per la costruzione del deposito. Di anno in anno, però, la Carta veniva sospesa, modificata o corretta.
Nel 2014 l’Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, rese pubblici i criteri di selezione: luoghi poco abitati, con una sismicità modesta, senza vulcani né rischi di frane e alluvioni. Inoltre, non oltre i 700 metri sul livello del mare, ad una distanza da autostrade e ferrovie tale da poter essere raggiunte comodamente dai carichi di materiale da stoccare. Il cavillo trovato per ritardare i lavori fu quello del criterio numero 11 della Carta, in cui si afferma che per la scelta del luogo bisogna valutare con attenzione le zone con «produzioni agricole di particolare qualità e tipicità e luoghi di interesse archeologico e storico». Tale formula, generica e piuttosto vaga, come è facile immaginare, permetteva infinite speculazioni e discussioni su ogni possibile sito potenzialmente ritenuto idoneo in Italia.
È opportuno ricordare come tale deposito nazionale non riguarda le scorie più pericolose, quelle con radioattività più alta per le quali la soluzione sarà individuata in modo congiunto con altri Paesi europei. Il problema che il deposito vuole risolvere sono i rifiuti radioattivi a media e bassa attività, quelli che si producono quotidianamente, principalmente in ospedali ed industrie farmaceutiche. Sul territorio europeo esistono già 30 depositi di rifiuti nucleari, mentre in Italia questi, sino ad oggi, venivano dispersi in oltre 100 siti, senza le dovute precauzioni e tecniche di trattamento. Risulta quanto mai evidente, quindi, la necessità e l’urgenza di questo provvedimento, cui seguirà una lunga consultazione pubblica, in cui verranno sentite ed analizzate le istanze della cittadinanza e delle associazioni ambientaliste, con la possibilità di modificare la Carta da sottoporre, nel caso, al vaglio del Ministero per lo sviluppo economico, del Ministero dell’ambiente e dell’Ispettorato per il controllo nucleare.
Ciò detto, occorre comunque ricordare come la normativa italiana in materia ambientale e, in particolare, quella inerente i rifiuti è estremamente complessa ed articolata: la definizione di rifiuto la riscontriamo nell’art. 183, comma 1, lett. a) del d. lgs. 152/2006, che qualifica come tale “qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o abbia l’obbligo di disfarsi”. In particolare, la materia della gestione dei rifiuti radioattivi è regolata dalla legge 1860/1962 recante “Impiego pacifico dell’energia nucleare”; dal decreto legge 314/2003, con disposizioni urgenti per la raccolta, lo smaltimento e lo stoccaggio, in condizioni di massima sicurezza dei rifiuti radioattivi; dal decreto legislativo 23/2009, recante “Attuazione della direttiva 2006/117/Euratom, relativa alla sorveglianza e al controllo delle spedizioni di rifiuti radioattivi”; dal decreto del 7 agosto 2015 del Ministero dell’Ambiente recante “Classificazione dei rifiuti radioattivi”.
Nel caso in esame, quindi, il quadro tecnico va coordinato con quello normativo, in particolare con l’articolo 256, comma 6 del Codice ambientale in materia di deposito di rifiuti sanitari pericolosi e, d’altro canto, anche con il delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti (art. 452 quaterdecies c.p.) e il delitto di traffico ed abbandono di materiale ad alta radioattività, previsto dall’art. 452 sexies c.p., dal momento che manca una definizione esatta di ciò che debba intendersi per materiale ad alta radioattività. Il riferimento a cui ci si può appoggiare è quello della legge 1860/1962. disciplinante le formalità di impiego pacifico dell’energia nucleare che, all’art. 1, lett. D) ed E) fornisce definizioni in merito a prodotti o residui radioattivi. Parte della dottrina si rifà al d.lgs. 101/2020 che disciplina al punto 89) e al punto 147) sostanze radioattive come «ogni sostanza contenente una o più radionuclidi di cui, ai fini della radioprotezione, non si può trascurare l’attività o la concentrazione».
Ciò che quindi appare evidente è che seppur la Carta rappresenta un importante traguardo per il panorama normativo italiano, questa deve essere vista come un passaggio, seppur fondamentale, all’interno di un più ampio disegno riguardante la materia ambientale e, in particolare, i rifiuti: questi, infatti, sono sia una preoccupazione da un punto di vista ambientale, di cui bisogna occuparsi, ma anche un cruciale problema economico: a ciò fa seguito il sempre maggior interesse in merito al concetto di economia circolare, che deve coinvolgere cittadini, imprese, industrie e pubblica amministrazione. Il quadro generale è quello predisposto dall’Unione Europea, cui, però, deve far seguito una sempre maggior attenzione a livello nazionale nei confronti di tali tematiche, a maggior ragione, a seguito della pandemia, che ha messo in evidenza i limiti e soprattutto i ritardi del nostro sistema. Per questo motivo, decisioni, come la Carta, prese di concerto tra forza governative e istanze provenienti dalla cittadinanza appaiono quanto mai auspicabili nel più ampio quadro di riforma dell’attuale sistema.
Avv. Prof. Enrico Napoletano
Founder, Studio Legale Napoletano & Partners
Simone Spinelli
Trainee Lawyer, Studio Legale Napoletano & Partners