In data 21 maggio 2020 è stato approvato dalla Camera dei Deputati, all’unanimità, il Disegno di Legge recante “Disposizioni per la tutela della sicurezza del personale sanitario e socio-sanitario”, ora tornato nuovamente al Senato per l’ultimo passaggio verso la sua definitiva consacrazione in legge.
Il provvedimento ha la finalità di tutelare i professionisti del settore, come medici, infermieri e operatori sanitari, dal fenomeno, purtroppo sempre più esteso, di violenza o minaccia poste in essere nei loro confronti.
Pertanto viene implementata una forma di tutela verso soggetti che, d’altro canto, specialmente nella fase pandemica in corso, corrono seri rischi non solo per la loro salute, ma anche per l’eventuale insorgenza di una responsabilità penale nei loro confronti.
Difatti è stato da più parti acutamente rilevato come l’attuale disciplina, e in particolare l’art. 590-sexies c.p., introdotto nel codice penale con la legge 8 marzo 2017, n. 24 (c.d. Gelli-Bianco), sia inadeguata a proteggere gli stessi, quantomeno nel momento storico in corso.
In ogni caso, il disegno di legge è particolarmente significativo poiché, tra i vari punti di novità:
- estende la portata applicativa dell’art. 583-quater c.p. (lesioni personali gravi o gravissime a un pubblico ufficiale in servizio di ordine pubblico in occasione di manifestazioni sportive) anche al personale esercente una professione sanitaria o socio-sanitaria nell’esercizio o a causa delle funzioni o del servizio, nonché a chiunque svolga attività ausiliarie di cura, assistenza sanitaria o soccorso (quindi anche, ad esempio, ai volontari nelle ambulanze), funzionali allo svolgimento di dette professioni, nell’esercizio o a causa di tali attività;
- introduce una circostanza comune e ad effetto comune nell’art. 61 n. 11-octies c.p., operante allorché un soggetto abbia agito, nei delitti commessi con violenza o minaccia, in danno degli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie, nonché chiunque svolga attività ausiliarie di cura, assistenza sanitaria o soccorso, funzionali allo svolgimento di dette professioni, nell’esercizio o a causa di tali attività;
- nel caso di sussistenza della predetta circostanza aggravante ex 61 n. 11-octies c.p., rende procedibili non più a querela ma d’ufficio i reati di percosse e lesioni personali dolose di cui agli artt. 581 e 582 c.p.
Orbene, a prima vista sorgono spontanee delle questioni giuridiche decisive al fine di comprendere l’esatta portata della modifica in questione.
In primis, difatti, occorre interrogarsi sulla natura giuridica dell’art. 583-quater c.p., questione mai affrontata in giurisprudenza dal momento della sua introduzione con il d.l. n. 8 del 2007 (seppur originariamente riferito esclusivamente a pubblici ufficiali in servizio di ordine pubblico in occasione di manifestazioni sportive).
In particolare giova comprendere se lo stesso abbia natura di fattispecie incriminatrice autonoma ovvero di circostanza aggravante, in quanto l’eventuale natura circostanziata produrrebbe numerose conseguenze applicative rilevanti, ad esempio ai fini della risposta sanzionatoria o dell’elemento soggettivo del reato.
Difatti, come noto, le circostanze aggravanti possono essere ritenute, ex articolo 69 c.p. e salvi casi eccezionali specificamente previsti dalla legge, equivalenti o subvalenti rispetto ad altre attenuanti, di talché la pena complessiva irrogata in tal caso sarebbe molto più bassa rispetto a quella (da 4 a 10 anni per le lesioni gravi o da 8 a 16 per le gravissime) prevista nell’art. 583-quater c.p. Inoltre, la natura circostanziata di una fattispecie produrrebbe, in punto di elemento soggettivo, l’applicazione dell’art. 59 co. 2 c.p., ai sensi del quale, dopo la riforma n. 19 del 1990, sarebbe sufficiente la rappresentabilità della stessa ai fini della sua applicazione.
Orbene, tralasciando le ulteriori implicazioni (es. in punto di prescrizione, concorso di persone nel reato, tempus e locus commissi delicti) derivanti dalla natura autonoma o circostanziata di una fattispecie, giova rilevare come, mancando pronunce in giurisprudenza, in dottrina è stata preferita la prima soluzione, in particolare facendo riferimento ai lavori preparatori e al fatto che tale disposizione fosse caratterizzata da un autonomo nucleo di disvalore del fatto, considerata la peculiare gravità delle lesioni commesse, l’esclusione di qualsiasi riferimento alle lesioni semplici e le circostanze particolari in cui tali lesioni vengono poste in essere.
Tuttavia la soluzione, anche alla luce degli innovativi e recenti criteri enucleati dalle Sezioni Unite n. 40982 del 2018 in riferimento alla fattispecie di cui all’art. 12 co. 3 t.u. immigrazione, non sembra pacifica, per plurimi motivi:
- sussiste un rapporto di specialità tra la fattispecie di lesioni gravi o gravissime ex 583 e quella in questione ex 583-quater c.p.
- il fatto che quest’ultima sia una circostanza aggravante di un’altra aggravante (quella del citato 583 c.p.) non osta al riconoscimento della natura circostanziata;
- il bene giuridico, quello dell’integrità fisica del soggetto passivo, è il medesimo.
- collocazione sistematica del 583-quater c.p.
Pertanto, alla luce della più recente giurisprudenza, la conclusione pare indirizzarsi verso la soluzione opposta a quella raggiunta in dottrina, con la conseguenza che, nel caso di riconoscimento di una circostanza attenuante prevalente, la pena da applicarsi nei confronti del soggetto attivo potrebbe essere sensibilmente ridotta.
Peraltro la circostanza sarebbe qualificata, prevedendo una autonoma cornice edittale (da 4 a 10 anni per le lesioni gravi o da 8 a 16 per le gravissime) come indipendente, soggetta anch’essa, ex art. 69 co. 4 c.p., al giudizio di bilanciamento ed assimilabile quoad effectum, secondo la più recente giurisprudenza (Cass. pen. Sez. VI, n. 52011, 2019), alle circostanze ad effetto speciale solo allorché comporti un aumento superiore a un terzo.
Ulteriore questione che potrebbe far sorgere profili problematici verte sull’applicabilità della nuova circostanza comune ad effetto comune ex art. 61 n. 11-octies c.p. alla citata fattispecie del 583-quater c.p., in quanto la lesione richiesta da tale ultima fattispecie potrebbe assorbire tutti gli elementi richiesti dalla prima (che richiede la mera violenza o minaccia compiuta nei confronti dell’operatore sanitario o socio-sanitario), con conseguente applicazione dell’art. 68 c.p.
Tuttavia, potendo astrattamente ricorrere delle lesioni senza una condotta violenta, non pare esserci, almeno a livello astratto, un rapporto di specialità tra le fattispecie, di talché, ove una lesione a tali soggetti passivi venisse cagionata con violenza, parrebbe applicabile anche la suindicata aggravante comune.
Infine, occorre sottolineare come le citate modifiche, estendendo la portata di una fattispecie e introducendo una circostanza aggravante comune, sono peggiorative rispetto alla disciplina previgente, di talché non saranno applicabili, per il principio di irretroattività sfavorevole ex art. 25 co. 2 Cost e 2 co. 1 c.p., ai numerosi episodi violenti o minacciosi compiuti nella fase pandemica in atto.
Maggiormente dubbia sembra essere, invero, la eventuale applicazione retroattiva della modifica sulla procedibilità – da querela a d’ufficio – delle fattispecie di percosse e lesioni dolose in caso di presenza della predetta circostanza. Ci si potrebbe chiedere, in altri termini, se, anche decorsi inutilmente i 90 giorni per la presentazione della querela, la persona offesa (ad esempio un infermiere aggredito, a causa o nell’esercizio delle sue funzioni, da un parente di un malato covid-19) possa denunciare il fatto compiuto in virtù della sopravvenienza normativa.
La risposta pare essere negativa, poiché anche il mutamento nel tempo del regime di procedibilità dovrebbe essere risolto ai sensi dell’art. 2 c.p., alla luce della natura mista, sostanziale e processuale, dell’istituto della querela, che costituisce al contempo condizione di procedibilità e punibilità.
Sul tema occorre per completezza indicare il dictum dell’art. 221 d.l. n. 34/2020 (c.d. “Decreto Rilancio”), il quale, aggiungendo un periodo finale al comma 2 dell’art. 83 d.l. n. 18/2020, conv. in l. n. 27/2020, stabilisce che “per il periodo compreso tra il 9 marzo 2020 e l’11 maggio 2020 si considera sospeso il decorso del termine di cui all’articolo 124 del codice penale”, per cui il termine originario per la presentazione della querela di 90 giorni sarebbe in concreto decisamente più lungo.
Tuttavia, a parere di chi scrive, tale disposizione, in virtù della citata natura mista dell’istituto della querela, non sembra astrattamente applicabile, al pari della sospensione dei termini di prescrizione, retroattivamente ai fatti di reato commessi in precedenza, in quanto peggiorativa per il reo. Pertanto, decorsi infruttuosamente i 90 giorni per la proposizione della querela, il reato non pare poter essere perseguito nonostante lo stesso sia divenuto, in seguito, procedibile d’ufficio o sia stato introdotto un termine di sospensione.
Luigi Fimiani