I reati introdotti con il nuovo Titolo VIII-bis del codice penale prevedono un forte inasprimento a livello sanzionatorio per le nuove fattispecie disciplinate. Questo può risultare compatibile con il principio della proporzionalità della pena?
Occorre premettere a tal fine che la grande ricchezza di beni culturali di cui il nostro paese è ricco possessore ha sempre fatto avvertire la necessità di disporre un’adeguata forma di tutela che fosse mirata a che questi beni non venissero danneggiati, usurpati, esportati o che, comunque, non subissero un nocumento nel loro valore. Nel corso dei secoli l’importanza e l’impiego attribuiti ai beni culturali sono radicalmente mutati: dapprima erano visti come beni da preservare integri per i secoli avvenire, successivamente hanno assunto una funzione didascalica in quanto testimonianza della tradizione culturale della penisola.
Nel corso dei secoli varie riforme hanno interessato la materia del patrimonio culturale fino ad arrivare, da ultimo, al D.lgs. n. 42 del 2004 che ha introdotto il «Codice dei beni culturali e del paesaggio».
Più di recente, ed è la materia oggetto della nostra analisi, è stata presentata una nuova proposta di legge che è stata approvata in via definitiva alla Camera lo scorso 3 marzo.
Questa riforma apporta sostanziali novità nel codice penale introducendo un nuovo Titolo VIII-bis rubricato «Dei delitti contro il patrimonio culturale» che introduce nuove norme incriminatrici (artt. 518-bis – 518-quaterdecies), alcune delle quali riprendono i relativi reati già previsti nel Codice dei beni culturali, mentre altre creano nuove specifiche fattispecie partendo dai reati corrispondenti nel codice penale quali il furto, l’appropriazione indebita, la ricettazione, il riciclaggio e il danneggiamento oltre ad introdurre la nuova contravvenzione di cui all’art. 707-bis, nonché ampliare il novero dei reati presupposto ai fini della responsabilità da reato degli enti inserendo due nuovi articoli nel d.lgs. 231/01.
Inoltre, oltre ai reati su menzionati, vengono introdotte circostanze speciali aggravanti ed attenuanti, cause di non punibilità e nuove ipotesi di confisca tramite l’ampliamento della c.d. “confisca allargata” prevista dall’art. 240-bis.
In generale, nei delitti previsti dal nuovo Titolo VIII-bis si riscontrano delle pene edittali fortemente innalzate rispetto alle fattispecie già vigenti e viene introdotta un’aggravante applicabile a qualsiasi reato comune che provochi un grave danno ai beni del patrimonio culturale. Risulta così, già da una prima lettura delle norme, un forte inasprimento sanzionatorio che il legislatore ha voluto imprimere all’intera materia.
Appare fondamentale, per meglio comprendere la materia oggetto dell’analisi, inquadrare puntualmente la categoria del c.d. “patrimonio culturale” di cui troviamo la definizione all’art. 2 del D.lgs. 42/2004 che, in sintesi, suddivide la locuzione in beni culturali cioè immobili o mobili che siano di interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico o bibliografico e in beni paesaggistici cioè quegli immobili o aree che racchiudano i valori storici, estetici o culturali del territorio. I primi sono, quindi, opere frutto dell’intelletto umano e, i secondi, opere naturali.
Questa distinzione è sempre stata presente nella locuzione di “patrimonio culturale” e, infatti, spesso i due tipi di beni hanno subito una tutela legislativa diversa. Basti pensare che il Codice dell’ambiente ex D.lgs. n. 152/06 è, come si evince dalla dicitura, un codice autonomo e che, nel nostro codice penale, i reati ambientali sono già stati autonomamente inseriti nel Titolo VI-bis inserito nel 2015.
Questa distinzione viene mantenuta anche nella Costituzione che ne garantisce la tutela all’art. 9. La scelta di inserire tra i principi fondamentali questa materia dimostra l’importanza che i padri costituenti hanno voluto attribuirle e, leggendo in combinato disposto il primo ed il secondo comma, si percepisce il ruolo di cui è investita la cultura: essa ha il compito di formare intellettualmente gli individui. Proprio l’8 febbraio 2022 è stata approvata una modificazione alla Costituzione che inserisce all’art. 9 la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi e all’art. 41 prevede che l’iniziativa economica non può svolgersi recando danno alla salute e all’ambiente.
Ritenuta la rilevanza dei beni tutelati come espressa anche dalla Costituzione, il legislatore ha voluto tutelarli già in via preventiva mediante l’introduzione di diverse fattispecie incriminatrici a c.d. “pericolo astratto”. Difatti, nello specifico, data la particolarità dell’oggetto di tutela, la legislazione preventiva alla riforma in esame si è sempre adoperata affinché si prevenisse il nocumento al bene. Questa prevenzione si spiega proprio perché, essendo i beni oggetto del patrimonio culturale caratterizzati da unicità ed irrepetibilità, una volta che questi abbiano subito un danno il loro ripristino è pressoché impossibile sia che si tratti di opere dell’ingegno, già di per sé uniche nella creazione che ne è stata fatta ad opera dell’autore, sia che si tratti di bellezze naturali che potrebbero non riacquistare mai le caratteristiche possedute precedentemente al danno subito.
Si spiega così perché la maggior parte delle forme di tutela fino alla riforma in esame è costruita sotto forma di pericolo astratto: i vari delitti commessi compiendo atti in assenza di autorizzazione spiegano la pericolosità di compiere certe condotte senza seguire le giuste tecniche scientifiche e senza osservare le giuste accortezze e, quindi, proprio questa paura ha mosso il legislatore ad anticipare la soglia di tutela.
Con l’introduzione del nuovo Titolo VIII-bis si delinea, invece, una forma più marcata di protezione da parte del legislatore. Questa riforma ha il pregio di razionalizzare e raccogliere le norme che, prima, si trovavano sparse tra il codice del 2004 ed il codice penale e, inoltre, segna una tutela penale diretta del bene giuridico. Fino al codice del 2004, infatti, si lasciavano privi di specifica tutela i fatti più gravi che il bene giuridico potesse subire. Non vi erano, ad esempio, specifici reati come quelli introdotti dalla riforma in esame, per cui, nel caso questi si fossero verificati, i relativi fatti potevano essere sanzionati solo con l’applicazione delle comuni fattispecie e, tutt’al più, avvalendosi, quando possibile, delle aggravanti.
La critica che, però, appare evidente doversi muovere a queste nuove fattispecie è quella di prevedere un livello sanzionatorio molto elevato che potrebbe apparire sproporzionato rispetto al fatto commesso.
La pena deve essere, secondo la più illustre giurisprudenza, proporzionata alla gravità del fatto commesso in quanto, secondo il combinato disposto degli articoli 3 e 27 della Costituzione, la funzione della pena deve essere quella di rieducare il reo. Nel caso in cui, invece, la pena sia sproporzionata per eccesso il condannato non la vedrebbe come un processo rieducativo, ma come una mera ingiustizia. Maggiormente, qualora le fattispecie fossero idonee, come nel caso in esame, a comprendere fatti aventi diversi gradi di gravità e meritevoli di diversi tipi di rimprovero si incorrerebbe in un alto rischio che un fatto di lieve entità possa essere punito in maniera sproporzionata. Sempre tenendo conto del fine rieducativo della pena, bisogna, inoltre, valutare se queste fattispecie, in grado di ricomprendere fatti molto vari tra loro, non ostino anche con il principio di frammentarietà del diritto penale. Questo, infatti, come più volte espresso dalla più illustre dottrina, serve a non generalizzare l’ambito di tutela penale a tutte le fattispecie che siano ‘antigiuridiche’, ma limita l’azione penale a quelle più gravi e rilevanti, ottemperando al principio che vuole la tutela penale come extrema ratio, di tal che, si ritiene, la novella in commento potrebbe porsi in tensione anche con tale principio generale.
Allegra Silvestri
Laureanda LUISS e Praticante Avvocato