Giovanni Fiandaca, nel 2017, pubblicava il libro “Prima lezione di diritto penale” in cui trattava le principali criticità del sistema penale, con riferimento a 5 grandi tematiche: la funzione della pena; i criteri di selezione dei fatti penalmente rilevanti; l’elemento soggettivo nei reati; il ruolo del giudice rispetto al principio della riserva di legge; il rapporto tra scienza e diritto.
Spunti di riflessione che trovano terreno fertile anche oggi, più che mai in questi ultimi mesi, in cui sembra vacillare un principio e una garanzia cardine del nostro sistema penale, la certezza del diritto.
L’emergenza sanitaria dettata da COVID-19 è stata definita un vero e proprio unicum, una situazione senza precedenti in Italia e, come tale, da trattarsi in modo inedito. In particolare, si sono susseguiti diversi provvedimenti normativi, sotto forma di decreti-legge e decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, limitativi dei diritti e delle libertà fondamentali dei cittadini.
Tralasciando le questioni inerenti alla legittimità costituzionale di tali interventi, rileva in tale sede analizzare come operino i fondamenti di diritto penale alla luce dell’emergenza e come risultino ancora attuali le criticità del passato.
Il campo penale viene toccato dalla nuova normativa, nella parte in cui prevede sanzioni penali per chi viola le nuove prescrizioni.
Rilevante sul punto è stato il decreto-legge n. 6/2020, convertito con modifiche dalla legge n. 13/2020, che prescriveva l’adozione delle misure di contenimento per mezzo di DPCM. Tale articolo prevedeva altresì una sanzione penale (arresto fino a tre mesi o ammenda fino a euro 206) in caso di inosservanza del DPCM per violazione dell’art. 650 c.p., cioè per mancata osservanza di un provvedimento legalmente dato dall’Autorità per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica, o d’ordine pubblico o d’igiene, salvo che non costituisca reato più grave.
Nonostante il decreto-legge sia un atto avente forza di legge, viene ad essere intaccato uno dei corollari del principio di legalità, il principio di riserva di legge, in base al quale la materia penale può essere disciplinata soltanto da una norma primaria. Questa conclusione deriva dalla natura dell’art. 650, norma in bianco perché descrive dettagliatamente la sanzione, rilasciando invece la specificazione del precetto ad una fonte extrapenale.
In tale ottica si viola una delle garanzie del sistema penale per cui solo un atto avente forza di legge e come tale espressione della sovranità popolare, può prevedere figure di reato e limitare di conseguenza la libertà degli individui, applicando una pena.
Proprio per tale ragione il Governo è intervenuto con un nuovo provvedimento, con efficacia retroattiva, il d.lgs. n. 19/2020 per mutare la responsabilità da penale ad amministrativa.
Proprio parlando di responsabilità, ci si chiede quando sorga la responsabilità penale in caso di violazione delle norme emergenziali e quale sia la funzione che in tali casi assume la pena.
Sul primo quesito, la responsabilità penale è prescritta in due circostanze: nel caso in cui si viola la quarantena o l’isolamento domiciliare, e si è puniti con l’arresto fino a 6 mesi e l’ammenda fino a 400 euro ex. art. 260 del R.D. 1265/1934. Il secondo caso riguarda il reato di epidemia nella forma colposa e dolosa, in particolare, se dalla violazione è derivato il contagio di altre persone e il fatto è stato commesso con colpa, la pena sarà di reclusione da uno a cinque anni, mentre sarà dai tre ai dodici anni quando dal fatto deriva la morte di qualcuno (ex. art. 452 c.p.). Infine, se dalla violazione è derivato il contagio di altre persone e il fatto è stato commesso con dolo, si applica la condanna all’ergastolo, come prevede l’art. 438 c.p. (reato di epidemia).
Considerando le due principali teorie sulla legittimazione della pena, la teoria retributiva e la teoria preventiva, sembra che la seconda giustifichi l’intervento sanzionatorio.
Bisogna pensare, infatti, che tutti gli interventi sino ad ora adottati hanno l’obiettivo di contenere la diffusione del virus, colpendo, in primo luogo, le attività “a rischio” e, cioè, quelle attività che espongono in modo diretto ad un rischio di contagio; in secondo luogo si colpisce, in via precauzionale, attività che, a seconda delle circostanze, possono favorire il contagio.
Le limitazioni delle libertà fondamentali sono quindi giustificate dalla necessità di prevenire i contagi.
Con la minaccia di una pena si vuole distogliere dalla violazione delle norme, ponendo l’individuo nella posizione di rispettarle onde evitare le conseguenze negative che ne derivano.
L’interrogativo che ne consegue è: quanto può essere efficace la previsione della pena di fronte alla necessità di un soggetto di lavorare, di andare a trovare la madre anziana, di portare i bambini a scuola perché non può lasciarli a casa da soli? Tutte attività, queste, che rientrano nell’esercizio della libertà individuale, diritto garantito costituzionalmente agli artt. 13, 16 e 41.
Se è vero che le limitazioni sono poste per salvaguardare il diritto costituzionale alla salute, è altrettanto vero che le libertà e i diritti ristretti godono del medesimo rango costituzionale. La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 85 del 2013, ha sottolineato esplicitamente che in presenza di più diritti fondamentali è necessario un bilanciamento tra questi. Ci si chiede a tal proposito se l’opera di bilanciamento in tal caso sia stata equa o vi sia data eccessiva preminenza al diritto alla salute.
È una domanda che si pongono anche i cittadini, riluttanti nel credere di commettere un reato esercitando semplicemente un proprio diritto.
Ritornando al piano penale, consegue la difficoltà nel credere che la pena, in questa situazione, agisca davvero con efficacia deterrente.
Da qui emerge l’evidente contrasto tra lo scopo ideale della pena e la funzione reale che questa esercita nella realtà.
Altro tema di riflessione riguarda i criteri di selezione delle fattispecie penalmente rilevanti.
Come detto in precedenza, si punisce chi viola la quarantena o l’isolamento domiciliare e chi cagiona un’epidemia, ritenendo riprovevole la condotta che lede un bene giuridico, la salute, tutelata espressamente all’art. 32 della Costituzione.
La lesione, in effetti, si verifica nel caso in cui il soggetto, cagioni, con coscienza e volontà, o per mera disattenzione rimproverabile, un’epidemia, mediante la diffusione di germi patogeni.
Discorso diverso si pone per chi viola la quarantena o l’isolamento domiciliare; in tale circostanza l’intervento penale viene anticipato allo stadio di reato di pericolo, punendo la condotta che, secondo scienza o esperienza, è ritenuta pericolosa per il bene tutelato dalla norma.
Qui trova collocazione lo storico dibattito sui reati di pericolo astratto e sulla tensione tra questi e il principio di offensività, altro principio cardine del nostro ordinamento.
In tale sede basta riportare le conclusioni della giurisprudenza costituzionale, la quale salva la legittimità dei reati di pericolo astratto nelle ipotesi in cui l’incriminazione è tesa a proteggere beni di rango elevato, come nel caso di specie, la salute.
In effetti sarebbe gravoso per il giudice dover accertare nel caso concreto se la condotta posta da un individuo abbia effettivamente posto in pericolo la salute di un numero indeterminato di persone.
Talvolta, quindi, sembra obbligata la scelta di incriminare condotte pericolose de iure per consentire la protezione di beni di rango elevato.
Ultimo punto di analisi riguarda il rapporto tra il diritto penale e la scienza.
Alla base delle limitazioni delle libertà fondamentali ad opera degli interventi, vi sono infatti valutazioni del Comitato Tecnico-scientifico, (costituito il 5 febbraio 2020, con Decreto del Capo Dipartimento della Protezione civile n. 371), composto da esperti del settore sanitario, il cui ruolo consiste nell’orientare le scelte legislative.
In particolare, ogni DPCM è preceduto da un verbale di tale Comitato, sulla base del quale viene difatti fondata la scelta di bilanciamento tra diritto alla salute e diritto alla libertà personale.
In dottrina, c’è chi ritiene che diritto e scienza siano branche autonome. In tale sede, invece, sembra imprescindibile il dialogo tra diritto penale e scienza, poiché l’emergenza che si fronteggia è di tipo sanitario e, dunque, non si potrebbe agire in modo efficace senza il contributo conoscitivo di periti in tale settore.
Il rischio di tale commistione, però, è che si dia eccessiva prevalenza ai pareri scientifici e si perdano di vista i principi fondanti del sistema di diritto italiano, sistema democratico in cui il diritto penale è giustificato solo in quanto strumento di extrema ratio.
Alla luce di quanto scritto, è evidente che la situazione emergenziale, causata dal COVID-19, abbia portato alla superficie tematiche già affrontate in passato, quali la funzione reale della pena, l’effettivo operare del principio di riserva di legge e del principio di offensività, l’inevitabile integrazione tra diritto e scienza.
Attualmente il sistema di diritto penale contemporaneo sembra affrontare un momento di crisi perché sembrano vacillare le sue basi e sembrano emergere punti di contraddizione tra le regole e i principi astratti e la loro proiezione nella realtà.
Da tali riflessioni si deduce la necessità di riconsiderare la ratio del diritto penale, recuperando la sua funzione di strumento ultimo di intervento. Di conseguenza, deve prevedersi l’applicazione solo quando sia necessario, nel rispetto del principio di legalità e offensività, principi fondamentali posti a garanzia della libertà del cittadino.
Maria Josè Iapicco
Trainee Lawyer
Napoletano Ficco&Partner Studio Legale