Il 12 Maggio 2020, riaprono i Tribunali ma non per tutti. La potestà governativa ha abdicato alla potestà giurisdizionale. Dopo l’ormai nota «delega in bianco», disposta con l’art. 83, comma 6 del c.d. Cura Italia (D.L. 17/03/2020, n. 18), con cui il Governo attribuiva a ciascun Presidente del Tribunale il potere di disporre autonomamente le misure organizzative e di trattazione dei processi fino al 31 Luglio (inizialmente fino al 30 Giugno), nel rispetto delle indicazioni igienico-sanitarie necessarie per contrastare il diffondersi dell’epidemia, e dopo un acceso dibattito tra l’Unione Camere Penali, da una parte, la Magistratura, dall’altra, sulla dematerializzazione del processo penale da remoto, finalmente il Legislatore, in sede di conversione del Cura Italia, ha posto alcuni correttivi che hanno riacceso la speranza per gli Avvocati di tornare a fare il proprio mestiere.
Tuttavia, le modifiche apportate in sede di conversione sono andate in cortocircuito con quanto già disposto autoritariamente dai singoli Tribunali di sede.
Come noto, l’art. 83 del Cura Italia – così modificato e integrato dalla Legge 24/04/2020, n. 27 e dal D.L. 30/04/2020, n. 28 – al comma 12 ha previsto un «regime speciale» di trattazione delle udienze penali: per limitare gli assembramenti nelle aule di giustizia «la partecipazione a qualsiasi udienza delle persone detenute, internate o in stato di custodia cautelare è assicurata, ove possibile, mediante videoconferenze o con collegamenti da remoto individuati e regolati con provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia, applicate, in quanto compatibili, le disposizioni di cui ai commi 3, 4 e 5 dell’articolo 146-bis del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271».
La partecipazione a distanza evoca, quindi, il modello della videoconferenza già sperimentato per la partecipazione al dibattimento nei procedimenti per reati di criminalità organizzata o di grave allarme sociale. Nell’intento di evitare forme di incontro interpersonale, che costituiscano occasione di contagio, il legislatore ha ritenuto che il collegamento telematico fosse la soluzione ideale per far fronte al problema, equiparando a pieni effetti le condizioni di specialità della disciplina già esistente alle peculiarità dell’emergenza sanitaria, riguardanti – in linea di principio – tutti i protagonisti e i comprimari del processo, a partire dai giudici.
La scelta della partecipazione a distanza, in tempo di pandemia, si basa su esigenze affatto simili a quelle sottostanti alla fattispecie descritta e svela come il “germe” della dematerializzazione del processo, in origine inoculato nel sistema dalla legge 7 Gennaio 1998, n. 11, abbia subito una inattesa “mutazione genetica”.
Per vero, con il nuovo comma 12-bis, introdotto in sede di conversione, il Parlamento si è premurato di introdurre lo statuto delle udienze mediante collegamento a distanza, al fine di dettagliare gli snodi lasciati vuoti in sede di decretazione: innanzitutto, fino al 31 Luglio 2020 – salvo ulteriori proroghe dovute all’andamento della curva dei contagi – è prevista la possibilità di celebrare in video-conferenza tutte le udienze «che non richiedano la partecipazione di soggetti diversi dal pubblico ministero, dalle parti private e dai rispettivi difensori, dagli ausiliari del giudice, da ufficiali o agenti di polizia giudiziaria, da interpreti, consulenti e periti»: in altre e più chiare parole, si svolgeranno in video-conferenza tutte le udienze che non richiedono la partecipazione dei testimoni (purché diversi da ufficiali e agenti di polizia giudiziaria), degli Enti e Associazioni rappresentativi di interessi lesi dal reato e della persona offesa dal reato che abbia deciso di non costituirsi parte civile. Resta fuori, invece, in maniera inspiegabile, il contraddittorio riguardante gli operanti di polizia o avente ad oggetto la prova tecnica, che si svolgerà in video-conferenza con un’attenuazione del contesto dialettico-tecnologico e buona pace del principio di oralità, grande assente nel processo fatto di schermi e microfoni; vieppiù se si considera la rilevanza (oltre che la delicatezza) del ruolo processuale usualmente rivestito dagli operanti di polizia, che per primi introducono i temi d’accusa nelle loro multiformi sfaccettature, e dai tecnici, siano di parte o di nomina giudiziale.
Questa “disparità di trattamento” ha subito sollevato critiche severe al punto da indurre il legislatore ad un repentino cambio di rotta, a soli sei giorni dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della legge di conversione che ha introdotto la richiamata norma. Il D.L. 30 Aprile 2020, n. 28 ha aggiunto un ultimo periodo al comma 12-bis, prevedendo esplicitamente la sua disapplicazione, salvo contraria volontà delle parti e ferma la partecipazione a distanza degli imputati in vinculis, allorché debbano celebrarsi le udienze di discussione finale e le udienze in cui devono essere esaminati testimoni (nessuno escluso), parti, consulenti o periti.
Dunque, la novella così integrata riafferma la sacralità del contraddittorio in presenza per la formazione della prova, riconducendo al novero dei diritti soggettivi di tutte le parti, dell’imputato in primis, la fisicità della dialettica dibattimentale nella sua dimensione ermeneutica. Così, ad esserne tutelata – pur in via mediata – è l’oralità dell’istruttoria, che mal si concilia con lo scambio asincrono operato mediante il flusso di comunicazione visivo e uditivo della più aggiornata applicazione telematica.
Le residue attività che potranno comunque esser svolte nella udienza convocata con il mezzo informatico non sono certo di poco conto: (i) le udienze di costituzione delle parti, con tutte le difficoltà che potrebbero derivare da un preventivo scambio mediante posta elettronica certificata degli atti di costituzione privati e dalla prova della rituale notificazione degli atti necessari allo scopo; (ii) le udienze di discussione delle questioni preliminari a norma dell’art. 491 c.p.p.; (iii) le udienze deputate alle richieste di prova e alla successiva decisione sulle stesse; (iv) le udienze, in ipotesi, già fissate a margine dell’istruttoria per la modifica dell’imputazione o per le contestazioni suppletive a norma degli artt. 516 ss. c.p.p..
Dunque, il quadro normativo ridisegnato dal Parlamento per la ripartenza della Giustizia penale, al 30 di Aprile, offriva la possibilità per tutti gli Avvocati – senza distinzione per tipo di autore o di imputazione – di tornare nelle aule di udienza, se non fosse, però, che nelle more i Presidenti dei Tribunali territoriali avevano già adottato dei provvedimenti di regolamentazione delle trattazioni dei processi, in forza della «delega in bianco» governativa del 17 Marzo.
Da qui, il cortocircuito che oggi blocca, di fatto, la ripartenza della Giustizia penale.
Il 20 Aprile, infatti, il Presidente del Tribunale di Roma ha pubblicato le proprie Linee Guida per la riorganizzazione dell’attività giudiziaria in condizioni di sicurezza igienico-sanitarie: dal 12 Maggio al 30 Giugno – o meglio, «fintantoché saranno in vigore misure che limitano gli spostamenti delle persone» – saranno trattati i soli procedimenti che non richiedono un’istruttoria (ad esempio, rinviati per la sola discussione, giudizi abbreviati, o udienze con la partecipazione delle sole parti necessarie), quelli rinviati per l’esame di testi qualificati (Pubblici Ufficiali, Consulenti, Periti), che saranno collegati da remoto se la tecnologia lo permette, quelli aventi ad oggetto reati ritenuti “prioritari” dalla Procura (in primis reati di violenza domestica o di genere) e, infine, quelli la cui trattazione è ritenuta necessaria dal Giudice. Analogamente, per la celebrazione delle udienze preliminari e l’emissione dei Decreti di Rinvio a Giudizio.
Tutti i restanti procedimenti che non rientrino in detta casistica, saranno differiti a far data da Settembre 2020, mentre, invece, rinviate ad anno nuovo le prime udienze dibattimentali dei procedimenti aventi ad oggetto reati di competenza del Giudice monocratico procedibili a citazione diretta, fatta eccezione per procedimenti con misure cautelari e quelli ritenuti “prioritari”.
Il risultato è il rinvio massivo al terzo quadrimestre dell’anno della stragrande maggioranza dei processi, con un ruolo di udienza, nella finestra temporale dall’11 Maggio al 31 Luglio, che vede in trattazione da due a quattro udienze a settimana, prevalentemente per imputati detenuti o destinatari di altra misura coercitiva personale o reale. Nessuna udienza di trattazione tra presenti per escussione testi è fissata nei ruoli del Tribunale di Roma, per imputati liberi.
Il cortocircuito è evidente: i provvedimenti dei Presidenti dei Tribunali sono stati resi sulla base di una «delega» del Governo del 17 Marzo – in piena emergenza epidemiologica – adesso non più conformi alle precisazioni operate da un più saggio Parlamento in sede di conversione in Legge del Cura Italia, lo scorso 24 Aprile, integrate – in piena dichiarazione di riapertura (DPCM del 26 Aprile) – da un Governo, improvvisamente risvegliatosi dal “torpore delle menti”, con la previsione di modifica del comma 12-bis dell’art. 83, con D.L. 30 Aprile che consente esplicitamente, già dal 12 maggio, la trattazione delle udienze di discussione finale e di istruttoria di testimoni (nessuno escluso), parti, consulenti o periti, salvo contraria volontà delle parti e ferma la partecipazione a distanza degli imputati in vinculis, di ricorrere alla video conferenza.
Nessuna previsione di rinvio a sei mesi è, dunque, prevista dal Parlamento e dal Governo, prevedendo, di contro, un riavvio progressivo delle udienze, certamente nel rispetto delle necessarie misure igienico-sanitarie per il contrasto di una nuova escalation di contagi, ma senza alcuna disparità di trattamento tra processi dettati dal tipo di autore del reato o dalla rilevanza delle imputazioni elevate.
Sorgono, quindi, seri dubbi sulla legittimità dei provvedimenti amministrativi adottati dai singoli Tribunali per rispondenza alla Legge n. 27/2020, così come modificata dal D.L. n. 28/2020, per violazione del principio costituzionale del diritto di difesa in giudizio.
Enrico Napoletano