Le prime notizie ufficiali che trapelano dai media americani riferiscono che, secondo lo Sceriffo della Contea di Santa Fe, l’attore, Alec Baldwin, non sapeva che l’arma con cui ha ucciso la direttrice della fotografia Halyna Hutchins durante le riprese di un film western in un ranch di Santa Fe fosse carica. Secondo gli investigatori parrebbe che perfino l’assistente alla regia, David Halls, non sapeva che l’arma avesse proiettili veri prima di consegnarla a Baldwin, gridando “cold gun”, per dare il via libera alla sparatoria nel film. Eppure, proprio qualche giorno prima la controfigura di Baldwin aveva sparato accidentalmente due colpi dopo che gli era stato detto che la pistola non aveva alcuna munizione, neanche a salve.
Dunque, una tragedia annunciata: negligenza nel rispetto dei protocolli di sicurezza sull’utilizzo delle armi da fuoco su un set cinematografico oppure omicidio?
Rispondere a questo interrogativo non è compito di chi scrive: troppe le variabili da accertare ancora in punto di ricostruzione della dinamica del fatto; su tutte, se l’assistente di regia, David Hall, aveva il compito di verificare la sicurezza dell’arma prima di consegnarla all’attore o se sapesse che l’arma era carica. Ad ogni modo, indipendentemente dalla posizione dell’assistente regia nella dinamica dell’evento, parrebbe più chiara la posizione dell’attore, non gravato da un obbligo giuridico di controllare l’arma prima della scena. Dunque, come si configurerebbe la posizione dell’attore rispetto all’evento-morte dallo stesso causato nell’ordinamento penalistico italiano?
La risposta parrebbe ritrovarsi entro i confini degli artt. 47 e 48 del codice penale, che definisco i casi di errore sul fatto determinato dall’altrui inganno. Al riguardo, l’art. 48 – come noto – stabilisce che “le disposizioni dell’articolo precedente si applicano anche se l’errore sul fatto che costituisce reato è determinano dall’altrui inganno; ma, in tal caso, del fatto commesso dalla persona ingannata risponde chi l’ha determinata a commetterlo”.
Da un punto di vista strutturale, considerato il richiamo alla norma generale di cui all’art. 47, l’errore deve ricadere su di un elemento costitutivo del reato di omicidio, altrimenti, esso non escluderebbe il dolo e la responsabilità dell’attore che, di conseguenza, permarrebbe.
Nel caso di specie l’errore ricade sulla potenzialità offensiva dell’arma da fuoco consegnata all’attore per eseguire la scena cinematografica della sparatoria. L’attore ha utilizzato l’arma riponendo affidamento sul garante titolare del controllo di sicurezza della inoffensività della pistola. Egli ha, dunque, ricevuto l’arma da fuoco con l’assicurazione che la stessa fosse inoffensiva, tanto che all’ordine “cold gun” – che nel gergo cinematografico significa arma fredda o scarica – l’attore ha dato avvio alla rappresentazione scenica nell’errata convinzione di non arrecare alcun danno alla controparte verso cui puntava l’arma in verità carica con proiettili veri.
L’inganno è la fonte dell’errore sul fatto commesso dall’attore: esso deve consistere nell’impiego di mezzi fraudolenti sostanzialmente assimilabili agli artifici e ai raggiri tipici del delitto di truffa presente nel nostro ordinamento: ossia, esso può consistere in qualunque artificio o in qualsiasi espediente atto a sorprendere l’altrui buona fede provocando nel deceptus una falsa rappresentazione della realtà.
Ai fini della valutazione della posizione che Baldwin riveste nella dinamica dell’evento-morte, escluso peraltro un qualunque obbligo giuridico di controllo in capo allo stesso che possa residuare una responsabilità personale a titolo colposo, poco importa se l’assistente regia, David Hall, sapesse che l’arma era carica o lui, o chi per lui, abbia omesso di verificarne l’offensività per negligenza.
Il semplice fatto che l’assistente regia abbia ingenerato in Baldwin l’errore circa l’inoffensività della pistola che gli aveva consegnato può considerarsi un efficace mezzo di determinazione dell’altrui volontà a sparare dietro una falsa rappresentazione della realtà che esclude la colpevolezza dell’attore.
D’altro canto, non è la prima volta che tragedie simili si verificano su set cinematografici: basti pensare alla prematura scomparsa dell’attore Brandon Lee nel celebre film “Il corvo” per imporre alle case cinematografiche una maggiore riflessione circa l’implementazione dei controlli di sicurezza sull’utilizzo delle armi da fuoco sui set cinematografici la cui negligenza non può continuare a mietere ingiustamente vittime: l’errore fatale non ammette un secondo ciak.
Enrico Napoletano