È ormai chiaro che il contact tracing farà parte della vita degli italiani per i prossimi mesi.
Secondo i rumors, mancherebbe una manciata di settimane all’uscita dell’attesissima “Immuni”, che dovrebbe essere disponibile sugli AppStore IOS e Android verso fine maggio. Eppure, sull’App firmata Bending Spoons e prescelta dall’esecutivo per il tracciamento dei contatti degli infetti Covid-19 nella Fase 2 dell’emergenza sanitaria, ci sono più luci che ombre.
Nel tentativo di fornire agli ignari cittadini qualche informazione in più, c’è stato chi, come il Governatore del Veneto Zaia, nell’ormai immancabile conferenza stampa quotidiana ha fatto ricorso alla parabola del “veneto e del siciliano” per poi concludere che “l’alternativa all’applicazione è mettersi in ospedale e aspettare che arrivino i pazienti” e chi, come la Senatrice M5S Mantovani (Master in sicurezza dei sistemi informatici) fa dirette Facebook mettendo cartelli al contrario. Dai canali istituzionali, invece, tutto tace.
Per ora le informazioni di cui disponiamo sono scarne e frammentarie, e la confusione fa paura.
Sappiamo che Immuni è stata preferita dalla task force di esperti insediata presso il dicastero dell’Innovazione Tecnologica perché, tra centinaia di proposte, è risultata la migliore anche sotto il profilo privacy, ma non è dato conoscere sulla base di quali criteri e a valle di quali valutazioni la soluzione è stata ritenuta la più ponderata per scongiurare frizioni con il diritto fondamentale alla protezione dei dati personali.
Nessun dettaglio è stato reso disponibile sulle specifiche tecniche di funzionamento dell’app, sulla tipologia di dati trattati, sul meccanismo attraverso il quale verranno acquisite le informazioni di tracciamento né sul soggetto (pubblico? privato?) che gestirà una tale mole di informazioni.
L’atmosfera di mistero è fitta persino per Garante Italiano per la Protezione dei Dati personali, che ha recentemente dichiarato di “non essere stato coinvolto nella valutazione dell’applicazione”.
Eppure si raccomanda già agli italiani, da buoni samaritani, di scaricare ed utilizzare l’app, facendo una sorta di professione di fede al Governo e ad una Società privata che – spoiler – già possiede una infinità di dati personali degli italiani, considerando che è la stessa Società che sta aiutando in molti a tenersi in forma da casa in questa lunga quarantena con i suoi “Yoga Wave” e “30 Day Fitness Challenge”, entrambe tra le top delle free apps più in voga del momento. Come a dire: stringiamo i denti che andrà tutto bene e che in futuro non si verificheranno brutte sorprese.
Che si chiami o meno Immuni, il leitmotiv che continuano a propinarci come un buon tranquillante è la “volontarietà” dell’app di tracciamento, ossia il fatto che l’applicazione sarà scaricata soltanto dai cittadini che vorranno farlo.
Se questo a prima vista può sembrarvi un buon compresso e una scelta democratica, non c’è niente di può demagogico: significa lasciare ai cittadini un compito, quello del bilanciamento di opposti interessi, che in un ordinamento democratico dovrebbe essere svolto a livello istituzionale da un decisore politico, da soggetti che, in quanto rappresentanti del popolo, si assumono le responsabilità delle proprie scelte.
Non sarà forse che l’adesione volontaria del singolo ad un’app di tracciamento sia in realtà solo un mantra per uno scarico di responsabilità sui singoli cittadini di un compito che gli organi politici non sono in grado di operare?
E sì, perché nell’alveo del costituzionalismo europeo, agli Stati Membri si richiede un compito ben preciso: il legislatore deve operare un bilanciamento tra opposti diritti o interessi meritevoli di tutela, nella specie dell’emergenza epidemiologica da Covid-19 tra la tutela della salute pubblica e il diritto alla protezione dei dati personali, e deve indicare esattamente i limiti fino ai quali ci si può spingere nel regolare questo rapporto di forza, senza che la prevalenza dell’uno si traduca in una lesione del nucleo duro dell’altro, pur affievolito dalla situazione emergenziale.
È fin troppo facile rispondere che l’adesione volontaria al contact tracing è uno dei principi cardine a livello comunitario, come sancito nelle Linee Guida dell’EDPB, e che così è stato caldeggiato anche dalla nostra Autorità Garante per la Protezione dei Dati Personali.
L’adesione volontaria del singolo cittadino non è un criterio di bilanciamento: significa solo individuare il soggetto cui spetta fare il bilanciamento, ossia il singolo cittadino in possesso di uno smartphone, cui è rimessa la “patata bollente” di decidere se scaricare l’app e se condividere con le Autorità competenti i propri dati sanitari e questo, in una forma di governo democratica, non può e non deve essere accettato, vieppiù in un contesto emergenziale.
Inoltre, c’è un’altra domanda che sorge spontanea: se un cittadino italiano decidesse di scaricare l’app e risultasse positivo al Covid-19, avrebbe anche l’obbligo giuridico di mettere a disposizione delle Autorità Sanitarie la lista dei dispositivi con i quali è entrato a contatto nel periodo di potenziale contagio? D’altronde, si potrebbe sostenere, se non ne ha alcun obbligo giuridico, potrebbe ben decidere di non rinunciare alla propria privacy.
Bene, è proprio questo il punto di caduta dell’intero approccio basato sulla volontarietà: se quel comportamento di condivisione, pur non essendo obbligatorio, venisse considerato uno standard di diligenza richiesto al cittadino “modello” dalla normativa emergenziale per contenere la diffusione del contagio, non potrebbe escludersi che l’omessa condivisione dei dati possa fondare una responsabilità del singolo a titolo di colpa, tanto in sede civile quanto in sede penale.
In termini giuridici, il rischio è che la condivisione dei dati di tracciamento, pur non integrando, appunto perché “volontaria”, una delle regole di prudenza predeterminate ex ante da una legge emergenziale per il contenimento della diffusione del contagio – come tale, idonee ad integrare, in caso di sua mancata adozione, un rimprovero per colpa specifica – possa comunque essere ritenuta ex post parte di quelle generiche misure precauzionali di diligenza, prudenza o perizia, suggerite dagli usi sociali in un determinato contesto storico, quello dell’attuale emergenza sanitaria, per prevenire e diffondere il contagio a tutela della salute pubblica – con il rischio, quindi, di un rimprovero a titolo di colpa generica.
Ecco allo svelato l’arcano dei Governatori: presentare la Bending Spoons come la benefattrice del secolo, come se il possesso di dati personali nell’era del digitale non fosse una fonte di guadagno, e lo Stato Italiano come il migliore dei governi democratici che lascia ai propri cittadini la libertà di decidere se rinunciare o meno alla propria privacy e se essere o no tracciati nei propri contatti più significativi.
Dietro le quinte, una bella delega in bianco per deresponsabilizzare i vertici politici e lasciare al singolo (e al Giudice) la valutazione, rigorosamente ex post, su quale sarebbe stato il comportamento migliore per bilanciare, in una situazione emergenziale, il diritto alla propria riservatezza personale con la salvaguardia della salute pubblica.
Elena Massignani