L’8 marzo 2022 la Commissione europea ha pubblicato la comunicazione “REPowerEU”, un documento atteso già prima dello scoppio del conflitto in Ucraina. Nelle intenzioni di Bruxelles, la comunicazione avrebbe dovuto focalizzarsi su interventi tesi a ridurre i prezzi energetici, ma la guerra ha repentinamente spostato il baricentro su soluzioni per tagliare gli approvvigionamenti di gas, petrolio e carbone da Mosca.
Bruxelles ha quindi varato un mix di misure: diversificare le rotte di importazione del gas ed implementare le fonti rinnovabili, biometano e idrogeno su tutte. In particolare, il piano “REPowerEU” consentirebbe di eliminare gradualmente almeno 155 miliardi di metri cubi di gas fossile dal mix energetico europeo, equivalenti al volume totale importato dalla Russia nel 2021.
Frans Timmermans, responsabile del Green Deal europeo, ha dichiarato che «è giunto il momento di passare alle fonti rinnovabili alla velocità della luce».
Per quanto riguarda il gas, la Commissione intende presentare entro aprile una proposta legislativa affinché i depositi sotterranei di stoccaggio di gas a livello europeo siano riempiti per almeno il 90% della capacità entro il 1° ottobre di ogni anno.
Altri due pilastri del piano sono: da una parte acquistare più gas da fornitori non russi (in primis intensificando i rapporti con l’Algeria e i Paesi nord africani), aumentando le importazioni via tubo e via mare (gas naturale liquefatto – o “Gnl” – trasportato su navi) e incrementando la produzione di biometano e idrogeno verde; dall’altra, ridurre più rapidamente gli usi dei combustibili fossili in tutti i settori.
Più in dettaglio, grazie a “REPowerEU”, la Commissione europea stima che entro fine 2022 si possano rimpiazzare 50 miliardi di metri cubi di gas ora acquistato dalla Russia con maggiori importazioni di “Gnl” da altri Paesi, come Stati Uniti e Qatar. Altri 10 miliardi di metri cubi potrebbero essere sostituiti con maggiori importazioni da gasdotti.
Inoltre, secondo le indicazioni di Bruxelles, la produzione di biometano dovrebbe balzare a 35 miliardi di metri cubi/anno e la disponibilità di idrogeno da rinnovabili (produzione europea più le importazioni) dovrebbe arrivare a 20 milioni di grazie alle nuove infrastrutture integrate per il trasporto, distribuzione e stoccaggio (Hydrogen Accelerator).
E l’Italia?
Il Ministro della Transizione Ecologica, Roberto Cingolani, all’indomani dell’invasione russa, ha a più riprese rassicurato come il nostro Paese avrebbe «resistito», con un piano che prevede l’indipendenza dal gas russo già nel 2023 senza l’impiego di nuovo carbone. La questione principale rimane quella della forte dipendenza da Mosca, che, ad oggi, fornisce circa 29 miliardi di metri cubi di gas naturale al nostro Paese. Oltre il 40% della nostra domanda. Ma, spiega Cingolani, l’Italia è già corsa i ripari: «entro primavera inoltrata 16 miliardi di metri cubi saranno rimpiazzati da altri fornitori nel mondo».
È lecito interrogarsi se, ancora una volta, l’Italia non abbia sofferto di un ritardo maturato per decenni e se, ora, stretti tra la pandemia e la guerra ai confini dell’Unione, queste non siano parole dettate più dalla paura che da un piano strategico ed a lungo respiro.
Ad oggi, risulta complesso immaginare la fine del conflitto dal momento che vani sono i tentativi di risoluzione diplomatica. Oltre i meri proclami a mezzo stampa, la preoccupazione ora e in vista del futuro dovrebbe essere quella di ricercare, attraverso fonti innovative, una nuova identità energetica per l’Italia, data anche la nostra storica dipendenza dall’estero.
Simone Spinelli
Praticante legale